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LE SCUOLE E GLI EBREI (*)
di Piero Morpurgo 

Difesa della Patria e dei Diritti Civili

L’organizzazione della spietata persecuzione avvenne nonostante che gli ebrei avessero dato prova d’immenso amore per ciascuna Patria -anche in occasione della Grande Guerra- diversificandosi anche nelle scelte politiche in modo tale che era del tutto risibile ogni tesi che propagandava la minaccia di un complotto mondiale ebraico. Anche qui qualche numero rende evidente l’affermazione: 320.000 soldati ebrei combatterono per l’ impero austroungarico, la loro nazione; mentre -con la stessa fede religiosa ebraica- 55.000 furono i francesi e 650.000 i russi impegnati nella difesa dei loro Paesi. La natura devastante del conflitto portò a circa otto milioni di morti e di questi 140.000 erano ‘ebrei’.

Nonostante che l’esempio di lealtà patriottica degli ebrei italiani fosse indiscutibile Cecchelli in un opuscolo su La questione ebraica introduce il tema riportando l’aforisma di una società segreta inglese istituita per preservare la ‘razza britannica’: "Un cane bracco non potrà mai essere un buon levriere e così un ebreo potrà essere un ebreo, ma non sarà mai un inglese".

L’impegno degli ebrei italiani a difesa della Patria e dei diritti civili è stato sottolineato nel diario di Ernesta Bittanti, vedova di Cesare Battisti; dal suo canto proprio in quel periodo Amelia Rosselli dichiarava "Ebrei, ma prima di tutto italiani".

Questa tesi trova un ulteriore riscontro nel coinvolgimento del mondo ebraico durante la guerra di secessione americana del 1865: allora furono 6.000 gli ebrei a combattere tra i nordisti mentre sul fronte opposto vi furono 1.200 soldati sudisti d’origine ebraica. A quel tempo il rabbino americano Einhorn -già nel 1855- aveva proclamato: "Rompiamo le catene dell’oppressione, lasciamo liberi i popoli oppressi e distruggiamo ogni giogo".

Questi e altri dati rendono del tutto incompatibile l’affermarsi di una dittatura con la civiltà ebraica. Certamente non si può nascondere che che vi furono tanti ebrei che aderirono sin dalla prima ora ai regimi totalitaristi dell’Italia e della Germania; il filologo Giorgio Levi Della Vida che rifiutò di giurare fedeltà al fascismo scriveva che "vedermi messo in un fascio con loro -dopo le leggi razziali del ‘38- (il vocabolo è qui appropriato quanto mai) mi fa provare un certo senso di disagio".

Non diversi furono i sentimenti di Einstein nei confronti del dottor Haber, premio Nobel per la chimica nel 1918. Lo scienziato aveva contribuito in modo determinante ad incrementare la produzione agricola mediante i fertilizzanti chimici. Haber diresse poi -dal 1910- un centro di ricerca in Germania ove riuscì a far lavorare anche Einstein. La foga per le ‘invenzioni’ aveva cancellato ogni sentimento di civile prudenza poiché lo scienziato aveva aspramente condannato la dichiarazione di Einstein che, dagli Stati Uniti, aveva fatto sapere che la Germania hitleriana non garantiva più "ai suoi cittadini né le libertà civili, né la tolleranza e l’eguaglianza davanti alla legge". Così, mentre Einstein si impegnava a difendere i diritti civili, il dottor Haber continuò a dedicarsi alla produzione di armi chimiche sino al 1933 quando si rese conto che nella sua Germania in virtù delle terribili leggi razziali tutti i suoi colleghi ebrei erano perseguitati. Si trattò di una tardiva presa di coscienza giacché anche Haber aveva un cognome ebraico e per questo fu costretto all’esilio.

 

(*) Tratto dal libro, Le Scuole e gli Ebrei di Piero Morpurgo, di prossima pubblicazione. L'articolo è stato pubblicato su Educazione e scuola alla pagina http://www.edscuola.com/archivio/didattica/scuolebrei.html

 

  

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