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LE SCUOLE E GLI EBREI (*)
di Piero Morpurgo 

Distruggere le scuole

I serbi alla morte di Tito (1981) ripresero il progetto con un memorandum pubblicato nel 1986 che aveva il dichiarato fine di restituire alla Serbia la sua dignità offesa e di conquistare il Kosovo

Pertanto, per restituire la piena integrità nazionale, si stabiliva di combattere l’ideologia interetnica anche trasformando le scuole e le università; con questi intenti nel 1987 si prospetta il controllo demografico del ‘nemico’, mentre nel 1989 si dispone la chiusura delle scuole ‘kosovare’ per arrivare poi nel 1992 al progetto "eugenetico" per una Serbia purificata. Non diversa era stata la politica di Mussolini che aveva disposto -nel 1928- la chiusura delle scuole croate di Fiume.

E’ ben chiaro come al centro di ogni progetto di totalitarismo vi sia l’intenzione di distruggere la libertà della scuola; oggi come ieri, oggi che ricordiamo i 20 insegnanti di una scuola elementare del Kosovo trucidati dinanzi ai piccoli allievi dalle forze del nazionalismo serbo. Ieri quando furono colpiti i bimbi, tutti e in particolare i piccoli ebrei; oggi quando nei bimbi kosovari si vede una minaccia per la purezza della razza.

Per comprendere quanto la Shoah abbia colpito la scuola c’è un’immagine efficace: è quella di due pietre incise che -nel quartiere ebraico di Roisiers a Parigi- ricordano come da una scuola elementare furono 165 i bambini che morirono nei campi di sterminio; sempre su quelle lapidi si rammenta come tanti altri bimbi furono salvati dal direttore di quella scuola. Quelle pietre invitano a non dimenticare e il ricordo va soprattutto a quei piccoli scolari e ai loro coetanei che a Roma come a Varsavia furono privati di tutto: degli affetti, dei giochi, della possibilità di studiare e di vivere.

Le leggi razziali in Italia e in Europa colpirono i bimbi e gli studenti e questo obiettivo fu enunciato con chiarezza. Anche per questo è importante ricordare e leggere il passo del libro della Bibbia che dice: "se un fatto simile è mai avvenuto ai vostri giorni o ai giorni dei padri vostri; discorretene ai vostri figli e i figli vostri ai figli loro, e i figli loro all’altra generazione" (Joele 1,1); queste parole ben si compongono con l’ammonimento di Primo Levi: "Meditate che questo è stato".

La storia di questa tragedia ha dei colpevoli ben definiti: il fascismo di Mussolini e il nazismo di Hitler con tutti i loro sostenitori; la storia di questo immane disastro si innesta in un drammatico percorso di cui è bene conoscere alcuni elementi forniti dalla stessa successione degli eventi che spesso sono stati volutamente intrecciati tra loro.

In Italia con un sincronismo malevolo e intenzionale Mussolini fece pubblicare il 14 luglio del 1938 il Manifesto degli scienziati razzisti; il documento fu diffuso proprio nell’anniversario di quella Rivoluzione Francese che aveva proclamato al Mondo l’idea dei Diritti dell’Uomo sancendo così anche il principio per cui "nessuno debba essere molestato per le sue opinioni religiose".

Quella arrogante coincidenza di date permette di guardare alla Francia quando -nel 1901- Emile Zola alla Lega per i Diritti dell’Uomo parlava sull’idea di giustizia nell’insegnamento; in quell’occasione lo scrittore aveva voluto precisare: "Certamente si alla giustizia nell’insegnamento, ma prima di tutto occorre verità nell’insegnamento. Tutta la vittoria del domani è qui. E’ necessario che ci sia un popolo istruito abituato alle verità sperimentali della scienza perché sia capace di giustizia. ...".

Queste posizioni erano il frutto di un percorso che aveva visto la Ligue Française de l'Enseignement organizzare, nel 1889, un congresso ove si proclamò che "l’interesse dell’istruzione popolare comporta un legame geloso poichè è una causa che richiede completa dedizione. L’istruzione popolare non ammette che si possa far prevalere altri obiettivi che contrastino i suoi interessi. Chi lavora per l’istruzione popolare dovrà dimenticare il resto... si tratta di un dovere universale che coincide con l’interesse universale e con il principio superiore della solidarietà tra i popoli". A questi lavori partecipò anche Augusto Franchetti (1840-1905) in rappresentanza delle scuole popolari fiorentine.

Pochi anni dopo fu pronunciato il discorso di Zola che invitava alla libertà dell’istruzione laica in quanto presupposto fondamentale per realizzare una società fondata sulla giustizia e sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione. Proprio in quel periodo Zola si era impegnato nella difesa di Dreyfus un ufficiale francese che era stato accusato ingiustamente di tradimento soprattutto perché ebreo.

Le battaglie di Zola legano la lotta contro l’antisemitismo alla strenua difesa del principio per cui vi debba essere una società fondata sul libero confronto delle idee. Effettivamente il legame tra esplosione delle persecuzioni antiebraiche e i tentativi di impedire la libertà della scienza e della cultura è uno degli elementi che permette di capire le radici di un antisemitismo italiano che ebbe come obiettivo principe il rinnovamento del mondo della scuola italiana che era stato avviato tra ‘800 e ‘900.

Infatti l’ impegno dei Franchetti era legato all’azione di Adele Levi Della Vida, madre di Amelia Levi moglie di Luigi Luzzati nominato presidente del Consiglio dei Ministri dal 1910 al 1911 e nonna di Guido Castelnuovo, che istituì, prima a Venezia nel 1869 e poi a Verona e Padova nel 1874, quei ‘giardini di infanzia’ dove si apprendeva giocando e da cui, in parte, prese le mosse l’opera di Maria Montessori osteggiata dalla "Civiltà Cattolica".

In questa azione educativa di fine ‘800 v’era il senso di un impegno civile che colmava l’impossibilità per le donne di partecipare alla vita istituzionale del paese. Per questi motivi molte figure femminili del mondo ebraico si impegnarono nel programma di estensione delle attività scolastiche. In questo contesto si impegnarono sia Aurelia Josz (poi arrestata a Alassio) e uccisa all’arrivo ad Auscwitz sia Emma Modena fondatrice della prima scuola agraria femmile italiana.

La spinta a fondare le scuole aveva visto Emanuele Colonna Sinai (m. 1763) e Samuel Vita Finzi (m. 1796) disporre nei loro testamenti che fossero costruite scuole e asili con i loro lasciti; fu così che a Torino -nel 1823- si inaugurarono nuove strutture per gli studenti che erano gratuite per i bisognosi e soggette a un’offerta per le famiglie agiate. Questa istituzione si ampliò progressivamente riuscendo a fornire libri di testo e a provvedere al servizio di mensa. Le scuole ebraiche di Torino sperimentarono -dal 1935- il doposcuola mettendo a disposizione 17 insegnanti di lettere, 5 di matematica, 3 di ragioneria, 3 di scienze, 4 di lingue e 2 di disegno, 3 maestre, il tutto per un’ottantina di iscritti; se poi ai ragazzi più grandi non fosse stato possibile frequentare il pomeriggio furono organizzati anche dei corsi serali.

 

(*) Tratto dal libro, Le Scuole e gli Ebrei di Piero Morpurgo, di prossima pubblicazione. L'articolo è stato pubblicato su Educazione e scuola alla pagina http://www.edscuola.com/archivio/didattica/scuolebrei.html

 

  

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