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Alberto De Bernardi, Le rilevanze storiografiche del '900

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IL "SECOLO SPEZZATO"

E' già prassi corrente, nel dibattito storiografico, la contrapposizione tra il "secolo breve" di Hobsbawm e il "secolo lungo" di G. Barraclough, che nella sua Guida alla storia contemporanea, (Laterza, Bari 1996, ed. orig. 1964) collocava l'inizio della contemporaneità nell'ultimo trentennio dell'Ottocento. L'opera di Barraclough, tutt'ora attuale ed estremamente stimolante in molti aspetti, non può però essere considerata nel suo disegno complessivo una storia del Novecento, visto che risale all'inizio degli anni sessanta. Al Barraglough si rifanno peraltro, più o meno esplicitamente, alcuni contributi recentissimi, due dei quali mi appaiono particolarmente interessanti: i saggi di Charles S. Mayer (Secolo corto o epoca lunga? L’unità storica dell’età industriale e le trasformazioni della territorialità) e di Leonardo Paggi (Un secolo spezzato. La politica e le guerre) contenuti nel volume '900. I tempi della storia (a cura di C. Pavone, Donzelli, Roma, 1997). E' bene premettere che tanto Hobsbawm quanto Barraglough, Paggi e Mayer condividono la tesi di fondo che gli aspetti caratterizzanti del nostro secolo siano la fine dell'eurocentrismo e l'unificazione della storia mondiale. Quanto alle loro diverse periodizzazioni, trovo impropria la contrapposizione tra "secolo breve" e "secolo lungo", alla quale sostituirei quella tra la visione unitaria di Hobsbawm e la visione del Novecento come "secolo spezzato" degli altri tre. Dagli anni '70 dell'Ottocento, o forse dai '60 secondo Mayer, prende avvio un periodo di transizione che si conclude con la crisi degli anni '70 secondo Mayer, o con la fine della seconda guerra mondiale secondo Paggi, creando le condizioni per il passaggio ad una fase nuova, quella che noi stiamo vivendo e che si apre già sul XXI secolo. Per la verità Paggi sottolinea la centralità della guerra ed in particolare della seconda guerra mondiale come elemento periodizzante, a differenza di Mayer, ma questa differenza appare meno rilevante delle numerose convergenze interpretative.
L'unitarietà del periodo di transizione iniziato nella seconda metà del secolo scorso consisterebbe essenzialmente, secondo Mayer, in una nuova e più forte idea di territorialità come base dello stato-nazione, che l'Europa sviluppa al suo interno e impone al resto del mondo; e nel processo di industrializzazione secondo il modello della seconda rivoluzione industriale, basato sulla grande fabbrica, sulla produzione di serie e sul fordismo. Infatti la territorialità, base dello stato-nazione, emerge a suo avviso solo nella seconda metà dell'Ottocento ed anche laddove un’unità formale esisteva già in precedenza, "solo nel secondo Ottocento la preoccupazione di determinare la territorialità diventa un progetto onnicomprensivo, che comporta un'ossessiva demarcazione di linee e confini di ogni sorta: frontiere nazionali prima di tutto, ma anche linee di classe e di sangue, limiti ridefiniti tra pubblico e privato, tra maschile e femminile, tra laico e religioso, nonché nuove linee di forza in fisica (la teoria dei campi di Maxell) e nella tecnologia "(linee ferroviarie in primo luogo, ma anche telegrafiche e telefoniche, tranviarie e di navigazione, fino a quelle aeree e della catena di montaggio). Si realizza così una forte coesione dello spazio statuale, concepito come un "campo" di energia politica che corre da un centro vitale alla periferia. A ciò concorrono anche processi come una riorganizzazione amministrativa che vede prevalere ovunque il modello centralizzato su quello federale, e una grande ristrutturazione della classe di governo nel senso di un suo allargamento selettivo, tramite il diritto di voto, la rimobilitazione religiosa, ecc: un allargamento per lo più sottovalutato in sede storiografica perchè verificatosi in modo graduale e per cooptazione più che per via rivoluzionaria.
Sempre secondo Mayer, questa combinazione di elementi subisce mutamenti decisivi solo nell'ultimo trentennio del Novecento, per effetto soprattutto della terza rivoluzione industriale e della globalizzazione ad essa collegata, che sta trasferendo al Sud del mondo le industrie tradizionali, mentre nel Nord si afferma una nuova economia basata sull'elettronica e sui servizi. In questa nuova economia, il ruolo strategico non è più giocato dalla grande fabbrica basata sulla produzione di serie e la catena di montaggio, bensì da sistemi flessibili che producono una gamma più alta di prodotti personalizzati, con un peso crescente della trasmissione di dati (in metafora, ad un modello basato su linee o confini subentra un modello basato su reti). In conseguenza di ciò, popolazioni ed élites hanno perso la garanzia di uno spazio territoriale che permetta il controllo della vita pubblica, ovvero lo spazio dell'identità è stato separato dallo spazio della decisione. Ciò è avvenuto appunto a causa della globalizzazione, ovvero di fenomeni quali l'internazionalizzazione delle grandi aziende, la distanza tra fabbrica e centro direzionale dell'impresa, lo sviluppo di una comunicazione decentrata e non gerarchica su Internet; nonché a causa della parziale disintegrazione di barriere sociali che in precedenza demarcavano lo spazio pubblico e privato o i segni distintivi di ruolo. Oltre ad un generale disorientamento, la trasformazione in atto sta producendo nuove e diverse gerarchie sociali e una nuova divisione politica tra quanti accettano la globalizzazione e i fautori di un populismo territoriale tendente a riunificare lo spazio della decisione e quello dell'identità: orientamento, quest’ultimo, che accomuna i vari localismi, nazionalismi ed etnicismi, e i loro equivalenti fuori d'Europa, i cosiddetti "fondamentalismi" (i quali auspicano un ruolo pubblico della religione con gli stessi fini).
Secondo Paggi, alla base delle trasformazioni verificatesi nel Novecento c'è la sfida internazionale tra l’economia USA, che va nel segno della planetarizzazione, e le ipotesi a varie riprese affacciate di neo-mercantilismo ovvero di "capitalismo nazionale" di cui è portatrice l'Europa: l'egemonia economica USA, già matura all'inizio del secolo, impiega due guerre mondiali per spezzare queste resistenze europee. Gli anni '70, con l'apertura delle economie socialiste al mercato mondiale e la parallela crisi, per i paesi del Terzo Mondo, della prospettiva di uno sviluppo indipendente dal mercato mondiale e dalla divisione internazionale del lavoro, sarebbero non già una svolta quanto una tappa ulteriore nella direzione della mondializzazione. In questo quadro la prospettiva dell'unificazione europea andrebbe vista come il fenomeno più significativo della fine del secolo, ben più della caduta del socialismo reale. II ruolo dell'Europa unita sarebbe infatti quello non più di contrastare ma di negoziare su nuove basi il processo di mondializzazione in atto. Tale processo si è attuato anche attraverso l'esportazione del modello americano dei consumi di massa, resa possibile dalla dimensione di massa della soggettività e della privacy, da un nuovo ruolo della donna e dal crollo della civiltà contadina: fenomeni, questi, realizzatisi in Europa tra gli anni '50 e i '70. In quei due decenni sussisteva pertanto, come necessario elemento di transizione, una mescolanza di innovazione economica (come il consumismo di massa) e di conservatorismo-tradizionalismo nei valori politico-ideologici. Ma quella fase è stata solo un preludio alla corrosione dei vecchi valori e dei vecchi spazi di aggregazione politica (i partiti), ovvero una transizione all'epoca attuale nella quale massifcezione e atomizzazione sono le due facce della stessa medaglie.
Quale curricolo scolastico potremmo ricavare da questa impostazione? In questo caso i testi-base di Mayer e di Paggi sono saggi brevi in cui vengono esplicitati solo gli assi interpretativi fondanti, non certo una sequenza organica di temi-chiave, come avviene invece ne Il secolo breve di Hobsbawm. Ho dovuto perciò estrapolare tale sequenza e nell'assumere la totale responsabilità di questa operazione, invito a prenderne gli esiti con particolare prudenza. Anche la versione molto più dettagliata dei temi-chiave, rispetto alla proposta precedente, si deve all'impossibilità di rinviare ad un testo di riferimento sistematico, come invece si presuppone per il curricolo modellato su Il secolo breve.


 

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