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Hilda Gilardet, Aspetti cognitivi della didattica di laboratorio

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IMPARARE A VEDERE: UNA RICERCA SULL'USO DI FONTI VISIVE NELL'APPRENDIMENTO STORICO

Per rendere più concreto il discorso che sto facendo vi vorrei portare dei dati di una ricerca che abbiamo condotto (Girardet, Fasulo & Pontecorvo, 1997) su dei gruppi di bambini che analizzavano una fotografia. Questa fotografia, che raffigura l'intemo di una casa vichinga, è un oggetto un po' strano: come se noi andassimo in un museo e vedessimo un ambiente ricostruito; quindi non è esattamente una fonte ma è una delle cose che capita di utilizzare, un po' come il villaggio Leumann. Da un lato, è effettivamente un resto del passato, dall'altro ha talmente tanti strati successivi che rendono complicata la visione. Capita spesso, specialmente coi bambini delle elementari, che si fanno vedere delle immagini e si ritiene che siano più semplici; in realtà vedremo che non sono tanto più semplici anche se sono sicuramente più accattivanti per loro.

Il compito

Le consegne che avevano i gruppi di lavoro erano molto semplici e rispettavano una certa sequenzialità nelle operazioni inferenziali che dovevano fare: si chiedeva loro di dire, guardando la fotografia, se da quello che loro vedevano potevano capire se i Vichinghi cucinavano i cibi oppure no, come facevano per coprirsi e ripararsi dal freddo, quali lavori facevano e, in generale, quali cose sapevano fare. Ogni risposta doveva poi essere classificata come informazione certa o incerta: questa richiesta ha avuto come vedremo una grossa importanza.

Lavorare in piccolo gruppo

Il fatto di lavorare in piccoli gruppi (4-5 bambini) non guidati dall'insegnante ha comportato delle differenze piuttosto significative rispetto alle situazioni collettive; delle differenze positive, nel senso che, mentre nelle situazioni di classe c'è meno tempo per ciascuno di parlare, in situazione di piccolo gruppo tutti sono intervenuti, molto e molto a lungo, con degli interventi molto articolati e con dei ragionamenti abbastanza complessi (Pontecorvo, Girardet, Zucchermaglio, 1993). Un altro aspetto riguarda l'assenza dell'insegnante. L'insegnante infatti garantisce con la propria autorità di quello che viene detto; non a caso, una delle preoccupazioni degli insegnanti nel far lavorare i ragazzi in gruppo è: "E se poi i bambini imparano delle cose sbagliate?". E' uno dei problemi: effettivamente l'insegnante, dal momento che si lavora in gruppi paralleli, non può controllare quello che sta avvenendo, non sa quello che sta succedendo se non riascoltando poi le registrazioni. Ciò nonostante è proprio il fatto che i bambini siano da soli a lavorare in un compito aperto, che mobilita una serie di capacità abbastanza complicate e anche abbastanza alte per dei bambini della scuola elementare. Ed è proprio il fatto che manca qualcuno che garantisca della correttezza di quanto viene costruito insieme, a creare le condizioni perché i bambini stessi si facciano carico di analizzare e verificare la correttezza delle loro asserzioni. Paradossalmente l'assenza dell'insegnante si è rivelata essere uno stimolo alla discussione tra pari (Girardet, 1997).

  Ma veniamo ai risultati. Una prima cosa da dire è che, mentre il compito di ricavare le informazioni richieste è stato risolto abbastanza rapidamente, ed effettivamente era semplice, i gruppi non hanno proceduto seguendo la scaletta e hanno ricavato moltissime altre cose, molto più complicate e raffinate di quello che chiedevamo e pensavamo possibile.


 

 

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