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Patrizia Vayola, La generazione di Carosello. Appunti per un percorso didattico sulla società dei consumi

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LA NASCITA DI CAROSELLO

Carosello nasce il 3 febbraio 1957, appena 3 anni dopo la nascita ufficiale della televisione, i cui programmi, ricordiamolo, coprivano allora la sola fascia serale e godevano di un'utenza comunque molto limitata[1]. Nasce dopo molte resistenze da parte della dirigenza RAI dell'epoca, a dominanza democristiana, per l'insistenza dei grandi produttori che vedono nel mezzo televisivo un potente strumento di diffusione pubblicitaria. Ma le culture del periodo, sia quella di sinistra sia quella cattolica, pur con motivazioni diverse, sono fortemente avverse al mezzo e questo produce una vera anomalia in campo pubblicitario: uno spettacolo di promozione in cui il prodotto, invece di essere centrale, costituisce quasi un accessorio la cui menzione è giustificata dal fatto di aver offerto, appunto, all'utente un piccolo intrattenimento.

Sono fissate regole molto rigide:

  • ogni spot doveva durare 1 minuto e 45 secondi dei quali solo 20-30 potevano essere dedicati alla menzione del prodotto, il nome del quale, comunque non poteva essere ripetuto più di 3 volte;

  • lo spettacolo doveva essere separato nettamente dal codino pubblicitario finale;

  • nessuno spot poteva essere ripetuto (poi si concesse la ripetizione di uno);

  • un ciclo pubblicitario era di 4 (poi 6) spot che erano trasmessi a distanza di 10 giorni l'uno dall'altro;

  • non dovevano esserci immagini o storie che in qualche modo incoraggiassero alla violenza, alla disonestà, al vizio o al sesso;

  • erano pertanto esclusi spot su biancheria intima o bisogni poco decorosi e c'era il divieto a nominare parole considerate di cattivo gusto come sudore o forfora o depilazione[2].

Ogni ciclo di spot costava circa 1 milione e mezzo e il contratto, stipulato tramite la SIPRA, implicava anche, al traino, un investimento, per lo stesso prodotto, in pubblicità sui giornali, fatto questo che, nato per tutelare la pubblicità tradizionale, si rivelò poi un potente strumento di finanziamento dei giornali di partito. La produzione era affidata completamente ai privati (fatto questo che, originato dall'impossibilità per gli studi tv di far fronte alle richieste, porterà allo sviluppo, in Italia, di una moderna industria pubblicitaria) ma con la supervisione della SIPRA stessa che poteva decidere sulla messa in onda o meno del ciclo e che quindi svolgeva vere e proprie funzioni di censura.

Per comprendere lo straordinario successo di questa trasmissione, bisognerebbe rileggere la programmazione dell'epoca: la concezione pedagogica della tv allora vigente lasciava poco spazio a programmi di evasione, Carosello rappresentava pertanto spesso l'unico momento di intrattenimento leggero su cui gli italiani, i pochi possessori di un televisore (nel 57 gli abbonati erano tre milioni e mezzo) e i molti che comunque vi si riunivano intorno nei locali pubblici o in case private, potessero quotidianamente contare.

Carosello si rivela un programma di straordinaria efficacia per la costruzione della società dei consumi. Innanzitutto perché afferma una pubblicità unica su territorio nazionale che, nello stesso tempo, rompe e rende evidente la frattura con la logica della bottega e della piccola produzione locale: i cittadini dell'Italia postbellica si trovano pertanto unificati nel passaggio dal ruolo di clienti a quello di consumatori. Inoltre impone la rassicurante convinzione che il prodotto pubblicizzato abbia uno standard stabile di qualità e di prezzo che possa compensare la perdita di accuratezza e di personalizzazione del prodotto artigianale. Infine informa sull'esistenza, i caratteri, gli usi e lo status che sono legati ai prodotti che progressivamente vengono immessi sul mercato e ne garantisce l'importanza con la sua autorevolezza (l'ha detto la televisione).

La sua funzione di volano/specchio della società dei consumi risiede in particolare in questa sua ultima funzione giacché è soprattutto grazie ad essa che le esigenze degli italiani vengono spostate dal piano dei bisogni primari a quello delle esigenze che, adesso, il progressivo aumento delle disponibilità economiche consente di soddisfare. In questo senso Carosello rappresenta, certo più di qualsiasi altro programma televisivo, un elemento di forte messa in crisi della cultura contadina: il modello che propone e che offre come contesto ai suoi spot è quello della vita della città industrializzata e vicina al mito americano imperante, il ceto che utilizza come riferimento è quello del ceto medio urbano; questo modello e i consumi ad esso connesso entrano così potentemente nell'immaginario collettivo come aspirazione ad una superiore qualità della vita. Questa identificazione consumo-qualità della vita scardina completamente alcuni fondamenti della cultura precedente consentendo il passaggio da una logica del dovere, come parametro di riferimento per le scelte individuali, ad una logica del piacere che viene identificato con lo status e, conseguentemente, con il consumo.


[1] Gli abbonati nel 1956 sono 366.151, salgono a 673.080 alla fine del 1957 e toccano quota un milione alla fine del 1958. Cfr. P. Dorfles “Carosello”, Bologna, Il Mulino, 1998.
[2]
Cfr. M. Giusti Il grande libro di Carosello, Milano, Sperling & Kupfer, 1995, p.27


 

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