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Patrizia Vayola, La generazione di Carosello. Appunti per un percorso didattico sulla società dei consumi

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I CONTENUTI 

Giustificate quindi le finalità del tema, vediamo ora quale può essere l'approccio più efficace: se uno dei nostri obiettivi è quello di sottolineare il carattere evolutivo della società dei consumi, (lavorando quindi sulle categorie storiografiche di continuità/discontinuità e tradizione/innovazione) evidentemente il nucleo della ricerca sarà individuare le differenze tra la realtà attuale e quella preconsumistica, per analizzare poi attraverso quali passaggi costumi e consumi si siano modificati nel corso del tempo. Da questo punto di vista assume un particolare significato indagare sul periodo del boom economico che, appunto, ha messo le basi per il nostro attuale sistema di vita.

Proviamo quindi a richiamare alla memoria alcuni dati.

Se scorriamo i dati salienti della cronologia in riferimento agli eventi politici significativi per il periodo troviamo in realtà pochi elementi che riguardino propriamente il boom e che ne giustifichino la portata. La storia politica del periodo ci racconta infatti poco più che le strategie della Democrazia Cristiana per mantenere il controllo sulla vita politica italiana dal momento in cui si accorge che lo strepitoso successo elettorale del '48 non regge alla prova dei fatti. La legga truffa del '52, i risultati non confortanti per la DC delle elezioni del '53, il tentativo fallimentare di cercare appoggi a destra col governo Tambroni nel '60, i successivi scontri di piazza ed il conseguente cambiamento di strategia con l'appoggio prima esterno poi organico del PSI col governo Moro del '63, sono eventi che non consentono di leggere, se non in modo molto parziale, le trasformazioni avvenute in Italia in quel periodo, anzi, come dice De Luna[1], dimostrano come la politica, in questa fase rincorra, più che determinare, i mutamenti in atto nel paese.

Dobbiamo quindi cercare altri ambiti che ci diano conto delle trasformazioni. Evidentemente è l’ambito economico quello nel quale più forti sono i segnali di cambiamento. Infatti, se la situazione dell'immediato dopoguerra è nel complesso statica e ripropone, a livello di stratificazione sociale e di consumi, una situazione analoga, se non peggiore, a quella anteguerra, a partire dalla metà degli anni '50 il panorama muta completamente. Il piano Marshall, infatti, insieme alla ripresa industriale favorita dalla politica dei bassi salari (al di sotto delle medie europee e comunque in moderata crescita solo dal ’53 [ved. tab.17.3]) che, mantenendo basso il costo del lavoro rende competitive le nostre esportazioni, consente un notevole incremento della produttività [ved. tab. 8.18]. A questi fenomeni si aggiunge il rilancio, oltre che dell'edilizia privata, dei lavori pubblici in vista della ricostruzione, soprattutto, della rete di comunicazioni nazionali fortemente minata dal conflitto. Tutto ciò mette in moto il mercato del lavoro (il numero di disoccupati discende da 2 milioni ad un milione e mezzo nel decennio ‘51-’61) proponendo le città ed il nord come forte polo attrattivo. Questi fenomeni, insieme alla politica einaudiana di contenimento dell’inflazione [ved. tav. 31] e di consolidamento della nostra moneta, consentono una forte ripresa economica che coinvolge, sia pure in misura differente, l’intero paese.

Più che analizzare nel dettaglio gli aspetti di politica economica e le caratteristiche dello sviluppo, per le quali rimando alla nutrita bibliografia in proposito, per il nostro discorso sui consumi appare più rilevante analizzare le trasformazioni che il boom induce negli stili di vita e nella stessa concezione del mondo degli italiani.

Il fenomeno più rilevante è il passaggio dalla predominante cultura contadina al modello di vita della società dei consumi che, causato appunto dal prevalere, tanto in termini di occupati quanto in relazione al prodotto interno lordo, della produzione industriale, induce una serie di rilevanti trasformazioni sociali. Innanzitutto si modifica la distribuzione della popolazione: mentre nell'immediato dopoguerra riprende la tradizionale emigrazione verso gli USA e verso i paesi europei più industrializzati, dalla metà degli anni '50 le città svolgeranno una funzione attrattiva nei confronti delle campagne (con una significativa riduzione della popolazione nei piccoli centri) e, successivamente, sarà il triangolo industriale (soprattutto dopo l'abolizione, nel '61, delle leggi fasciste che limitavano l'emigrazione interna) ad attrarre popolazione dal sud come dall'est d'Italia. E mi sembra un'analogia interessante con quello che attualmente succede rispetto all'immigrazione albanese, che molti osservatori dell'epoca attribuiscano alla televisione, che si sostituisce, in campagna, alle veglie nelle stalle, (come dice Giorgio Bocca in un suo articolo dell'epoca) una funzione importante nel suscitare, soprattutto nei giovani, il desiderio di trasferirsi in città[2].

Cambia poi tanto la composizione della famiglia, che diventa nucleare, quanto il ruolo, in essa, della donna, progressivamente sempre più coinvolta nel sistema produttivo ma anche più consapevole delle proprie esigenze di realizzazione individuale. Inoltre si trasformano le aspirazioni ed il complessivo stile di vita che, in una situazione di mobilità sociale, tendono ad omologarsi intorno a beni, scelte, atteggiamenti che rappresentino l'aspirazione ad uno status socialmente più elevato o il suo raggiungimento.

Tali trasformazioni, tuttavia, non si verificano ovunque nello stesso modo, anzi si può dire che tradizione ed innovazione convivano per lungo tempo con una distribuzione a macchia di leopardo che pone continuamente a confronto e fa interagire i due stili di vita.


[1] Cfr. G. De Luna L’occhio e l’orecchio dello storico, Firenze, La Nuova Italia 1993.
[2]
Cfr. G. Crainz Storia del miracolo italiano, Roma, Donzelli, 1996, pp.87-112


 

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