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Critica marxista

Eric John Hobsbawm, Nord e Sud alla fine del secolo

Molti sono i volti dello squilibrio tra Nord e Sud del mondo: economici, tecnologici, sociali, culturali. L’ambizione, sancita nella Carta delle Nazioni Unite, di attenuare e risolvere con la cooperazione queste ineguaglianze, ha dato luogo, negli ultimi quarant’anni, ad un’ininterrotta sperimentazione di strategie, alla verifica dei risultati, alla ridefinizione degli obiettivi. Tuttavia, il divario rimane enorme. Lo storico Eric Hobsbawm propone alcune considerazioni sul tema della povertà alla fine del secolo, ponendo l’accento non solo sulla distanza economica tra ricchi e poveri, ma anche su quella culturale.

  Ciò che maggiormente preoccupa per il XXI secolo, e non solo per ragioni morali, è il drammatico ampliamento delle disuguaglianze economiche e sociali, sia all’interno degli Stati, che tra regioni e Paesi. C’è la tentazione di trascurare tutto ciò all’interno dei Paesi ricchi, basandosi sul fatto che ha poca importanza se il divario tra i molto ricchi e gli altri sta crescendo rapidamente, a condizione che anche i poveri (ad esempio, quelli che hanno meno della metà del reddito medio nazionale) stiano meglio in termini materiali; tanto, comunque, il “sottoproletariato” costituisce soltanto una piccola minoranza della popolazione.

Non credo invece che possiamo o dobbiamo trascurare questo fatto. Possiamo davvero essere soddisfatti con una situazione negli Stati Uniti in cui il rapporto tra il salario dei massimi dirigenti industriali e quello degli operai di una fabbrica si è decuplicato in meno di vent’anni, raggiungendo (1998) la straordinaria cifra di 419 a 1 ?  (International Herald Tribune, 6 settembre 1999). O in una situazione in cui, alla fine di un ventennio di spettacolare arricchimento della nazione, il 20 per cento degli americani più poveri ha un reddito inferiore del 9 per cento (dopo l’inflazione) rispetto a quello del 1977 ?

Non possiamo, tuttavia, neanche ignorare lo straordinario aumento del divario globale tra ricchi e poveri nell’era del fondamentalismo liberista. Secondo alcuni calcoli, il 20 per cento della popolazione mondiale al livello più alto gode di un reddito 150 volte maggiore di quello del 20 per cento al livello più basso (International Herald Tribune, 2 febbraio 1999, p.6), e il divario continua a crescere. Evidentemente, “un miliardo di persone che vive in assoluta povertà accanto ad un miliardo che gode di un crescente splendore su un pianeta che diventa sempre più piccolo e sempre più integrato, rappresenta uno scenario non sostenibile”.

Non è sostenibile neppure se la situazione del miliardo al più basso livello stesse migliorando un poco, specialmente in un’era di precipitosi cambiamenti e in una situazione mondiale straordinariamente instabile ed imprevedibile. Infatti, questo significa che i poveri del mondo sono più capaci di riflettere sulla propria posizione e di agire, invece di dedicare tutto il proprio tempo e le proprie forze a cercare di sopravvivere per un giorno ancora. […]

Dato che negli anni ’90 la scala Richter dell’economia ha registrato solo scosse modeste nel Nord America e nell’Unione Europea, tendiamo a sottovalutare il potenziale impatto di questi sismi. Quando è caduto per l’ultima volta il mercato americano o europeo dell’automobile del 40 per cento in due anni, come accade al marcato dell’auto in Brasile dal 1997 ? (Frankfurter Allgemeine, 20 settembre 1999, p.24). Prima della crisi del 1997-99, il 6 per cento dei lettori di un quotidiano sudcoreano riteneva di appartenere alla “classe alta”, il 70 per cento alla “classe media” ed il 24 per cento alla “categoria di basso reddito”; nel giugno del 1999, i dati corrispondenti erano l’uno per cento, il 46 per cento ed il 53 per cento. Quasi la metà degli intervistati dichiarava poi che il proprio reddito si era ridotto di più di un terzo dall’inizio della crisi.

Il pericolo di questa crescente polarizzazione è che, mentre il mondo da una parte viene integrato dalla globalizzazione, dall’altra è sempre più diviso tra una maggioranza di Stati permanentemente inferiori ed una minoranza di Stati privilegiati e compiaciuti di sé. Questa minoranza gode di una superiorità che si autorinforza nel benessere, nella tecnologia e nel potere (compreso il potere militare), e questa superiorità e questo compiacimento creano oggi un risentimento pari a quello provocato un tempo dalle supremazie imperiali – forse ancora più grande, dato che la maggiore disponibilità di informazioni odierna può rivelare più facilmente le discrepanze. Queste due fazioni dell’umanità non riescono ancor oggi a capirsi o a comunicare l’una con l’altra. […]

In fondo, i due mondi parlano senza capirsi, perché quando si incontrano, ciò che il mondo povero vede nel mondo ricco è in modo schiacciante, forse esclusivo, la sua superiorità: l’affermazione, nei termini del proprio interesse, del benessere, della tecnologia e del potere. […]

E invece, dobbiamo sempre fare i conti con gli ideologi occidentali – ci viene in mente Fukuyama1, il dottor Pangloss2 degli anni ’90 – per i quali la superiorità del mondo ricco esprime semplicemente la sua scoperta del miglior modello possibile per ordinare gli affari umani, dimostrato dal suo trionfo storico. In altre parole, questi ideologi sono convinti che gli occidentali ne sappiano di più, il che è ben lungi dall’essere evidente. Come dimostra il tragico risultato ottenuto dai consulenti economici occidentali nella Russia post-sovietica, può risultare difficile anche ad accademici e consulenti intelligenti e pieni di buone intenzioni perfino capire che cosa stia succedendo in ambienti così diversi dal proprio, forgiati da storie e culture così diverse.

In un mondo pieno di tante disuguaglianze, vivere nelle regioni favorite è in realtà come essere tagliati fuori dall’esperienza, per non parlare delle reazioni, di chi vive fuori da queste regioni. E’ necessario un enorme sforzo dell’immaginazione, oltre a tanta consapevolezza, per uscire dalle nostre confortevoli enclave, protette e preoccupate solo di sé, per entrare in un mondo più grande, privo di comodità e di protezione, e abitato dalla maggioranza della specie umana. Siamo tagliati fuori da questo mondo, nonostante si accumulino informazioni accessibili ovunque al click di un mouse, le immagini dei luoghi più remoti del globo ci raggiungano a qualsiasi ora del giorno e della notte e tanti di noi viaggino tra le civiltà come mai era avvenuto prima. Questo è il paradosso di un XXI secolo globalizzato.

      1.      Fukuyama: collaboratore del Dipartimento di Stato statunitense. Ottenne una certa fama negli anni Novanta a seguito della pubblicazione di un libro dal titolo La fine della storia, in cui teorizzava l’affermazione definitiva dei sistemi politici liberali e liberisti. [ritorna]

2.      Pangloss: celebre personaggio del Candido di Voltaire, emblema dell’intellettuale pedante ed al tempo stesso ottimista ad ogni costo.  [ritorna]

Piste di riflessione. 

Questo articolo mette a fuoco un punto di vista che non è propriamente il più condiviso dal comune sentire degli europei, nondimeno gli argomenti sono puntuali e non di poca consistenza. Indicali in dettaglio. 

Quali novità nell’area del vecchio Terzo mondo hanno reso obsoleto l’impiego di questo termine?  

Per quale motivo l'autore del brano sostiene che le nuove frontiere oggi sono tra nord e sud del mondo?