| home | Indicazioni metodologiche | Spunti per elementari e medie | Il percorso per le superiori |
home > il percorso per le superiori > il presente > fonti storiografiche > critica marxista > Hobsbawm, Il secolo breve |
|||
Pagine storiografiche
M E.J. Hobsbawm, Il Secolo breve,
Questo
brano dello storico di formazione marxista E. J. Hosbawm, spiega perché
oggi non è più utilizzabile il concetto di «Terzo mondo» e mette a
fuoco il fatto che lo sviluppo crescente dell’Occidente aumenta e non diminuisce
il divario tra Nord e Sud del pianeta.
Nel momento in cui l'idea di Terzo mondo e le ideologie terzomondiste erano all'apice, il concetto stesso di Terzo mondo cominciò a sgretolarsi. Negli anni '70 divenne sempre più evidente che nessuna singola denominazione o etichetta poteva adeguatamente applicarsi a un insieme di paesi che divergevano in misura crescente. Il termine era ancora adatto a distinguere i paesi poveri del mondo da quelli ricchi e nella misura in cui il divario tra le due zone, chiamate ormai sempre più spesso il «Nord» e il «Sud» del pianeta, si allargava visibilmente, la distinzione era significativa. Il divario nel prodotto nazionale lordo pro capite tra il mondo «sviluppato» e il mondo arretrato (cioè tra i paesi dell'OCSE e quelli a «economia bassa e media») continuava ad ampliarsi: nel 1970 il primo gruppo aveva in media un prodotto nazionale lordo pro capite 14,5 volte più alto di quello del secondo e nel 1990 il prodotto nazionale lordo pro capite dei paesi ricchi era diventato 24 volte più alto di quello dei paesi poveri. Nondimeno si può dimostrare che il Terzo mondo non è più un'entità singola.
Ciò che ha diviso
il Terzo mondo è stato innanzitutto lo sviluppo economico. Il trionfo
dell'OPEC nel 1973 fece sì che, per la prima volta, alcuni stati del Terzo
mondo, fino a quel momento poveri e arretrati secondo ogni criterio
valutativo, si trasformassero in stati ricchissimi a livello mondiale,
soprattutto se il loro territorio era piccolo e scarsamente abitato, come
nel caso degli sceiccati e dei sultanati musulmani. Divenne chiaramente
impossibile classificare, per esempio, gli Emirati Arabi Uniti, i cui
cinquecentomila abitanti nel 1975 godevano in teoria di un prodotto
nazionale lordo pro capite superiore a 13.000 dollari - quasi il doppio del
prodotto nazionale lordo pro capite degli USA a quella data - nella stessa
casella con, ad esempio, il Pakistan, che all'epoca disponeva di un prodotto
nazionale lordo pro capite di 130 dollari. Gli stati petroliferi che avevano
popolazioni più vaste non se la cavavano altrettanto bene; tuttavia divenne
chiaro che stati la cui economia dipendeva dall'esportazione di un singolo
prodotto primario, per quanto svantaggiati sotto altri rispetti, potevano
arricchirsi a dismisura, anche se questo denaro facile,
In secondo luogo una
parte del Terzo mondo si stava industrializzando rapidamente e si stava
allineando al Primo mondo, anche se rimaneva molto più povera. La Corea del
Sud, il cui boom industriale era stato uno dei più spettacolari nella
storia del capitalismo, aveva nel 1989 un prodotto nazionale lordo pro
capite appena più alto di quello del Portogallo, il più povero tra i paesi
membri della Comunità europea. E ancora, a parte le differenze qualitative,
la Corea del Sud non è più paragonabile con, ad esempio, la Papua Nuova
Guinea, benché il prodotto nazionale lordo pro capite dei due paesi fosse
esattamente lo stesso nel 1969 e rimanesse dello stesso ordine di grandezza
fino alla metà degli anni '70: ora invece quello coreano è cinque volte più
alto. Come abbiamo visto, una nuova categoria, quella dei paesi di nuova
industrializzazione, entrò a far parte del linguaggio diplomatico
internazionale. Non c'era una definizione precisa, ma in pratica tutti gli
elenchi includevano le quattro «tigri del Pacifico» (Hong Kong, Singapore,
Taiwan e la Corea del Sud), l'India, il Brasile e il Messico, ma il processo
di industrializzazione del Terzo mondo è tale che la Malesia, le Filippine,
la Colombia, il Pakistan e la Thailandia come anche altre nazioni sono state
incluse in questa categoria. In realtà la categoria dei paesi di nuova e
rapida industrializzazione attraversa le frontiere dei tre mondi, perché a
rigor di termini essa dovrebbe anche includere «economie di mercato
industrializzate» come quella della Spagna e della Finlandia e come la
maggior parte degli stati ex socialisti dell'Europa dell'Est; per non
citare, dalla fine degli anni '70, la Cina comunista.
Infatti, negli anni '70
gli osservatori cominciarono ad attirare l'attenzione su una «nuova
divisione internazionale del lavoro», cioè su un massiccio trasferimento
in altre parti del mondo di industrie che producono per un mercato mondiale,
le quali in passato erano state appannaggio esclusivo delle economie
industriali della prima generazione. Questo fenomeno si dovette alla scelta
delle aziende di trasferire la produzione e gli approvvigionamenti in tutto
o in parte dal vecchio mondo industriale al Secondo e Terzo mondo; a ciò
seguì infine il trasferimento di settori assai sofisticati delle industrie
ad alta tecnologia, quali il settore della ricerca e dello sviluppo. La
rivoluzione nei trasporti e nelle
comunicazioni rese possibile ed economica la dislocazione dei processi
produttivi di una stessa azienda in diverse parti del mondo. Il fenomeno fu
dovuto anche ai decisi sforzi dei governi del Terzo mondo di
industrializzarsi attraverso la conquista di mercati di esportazione, se
necessario (ma non preferibilmente) a spese della vecchie politica di
protezione dei mercati interni.
Questa
globalizzazione dell'economia, che può essere verificata da chiunque
controlli i marchi d'origine dei prodotti venduti in qualunque supermercato
nordamericano, si sviluppò
lentamente negli anni '60 e accelerò in maniera impressionante durante i
decenni di difficoltà economiche mondiali dopo il 1973. Quanto
rapida fu questa tendenza può essere illustrato ancora una volta dalla
Corea del Sud che, alla fine degli anni 50, aveva ancora quasi 1'80% della
sua popolazione lavorativa impiegata in agricoltura, dalla quale derivava
quasi i tre quarti del proprio reddito nazionale. Nel 1962 la Corea inaugurò
il primo dei suoi piani di sviluppo quinquennali. Alla fine degli anni '80
la Corea traeva solo il 10% del suo prodotto interno lordo dall'agricoltura
ed era diventata l'ottava tra le più grandi economie industriali del mondo
non comunista.
In terzo luogo, un certo
numero di paesi precipitò al fondo delle statistiche internazionali, al
punto che si rivelò impossibile continuare a definirli con l'eufemismo di
«paesi in via di sviluppo», visto che erano poverissimi e in crescente
ritardo. Si decise opportunamente di identificare un sottogruppo di paesi in
via di sviluppo a basso reddito, allo scopo di distinguere i tre miliardi di
esseri umani il cui prodotto nazionale lordo pro capite, se mai l'avessero
ricevuto, sarebbe ammontato a una media di 330 dollari nel 1989, dai
cinquecento milioni di persone più fortunate che vivevano in paesi meno
poveri, come la Repubblica Dominicana, l'Ecuador e il Guatemala, il cui
prodotto nazionale lordo in media era di tre volte più alto; al di sopra di
questi vi era un gruppo di paesi più floridi composto da Brasile, Malesia,
Messico e simili, la cui media del
prodotto nazionale lordo pro capite era otto volte più alta. Il
gruppo più prospero, che includeva all'incirca ottocento milioni di
persone, godeva di una teorica distribuzione pro capite del prodotto
nazionale lordo di 18.280 dollari, cinquantacinque volte più alta della
quota spettante ai tre quinti dell'umanità che stavano nella fascia più
bassa. In effetti, mentre l'economia mondiale diventata davvero globale e,
soprattutto dopo la caduta del regime sovietico, più capitalistica e
dominata dalla logica del profitto, investitori e imprenditori scoprirono
che grandi parti del mondo non presentavano alcun interesse economico, a
meno, forse, di poter corrompere
i politici e i funzionari di quei paesi per indurli a sperperare in
progetti di armamento o di puro prestigio il denaro che essi estorcevano dai
propri sfortunati cittadini.
Un numero molto grande di
questi paesi si trovava in Africa. La fine della Guerra fredda li privò
dell'aiuto economico (cioè soprattutto dell'aiuto militare) che aveva
trasformato alcuni di essi, come la Somalia, in accampamenti armati e alla
fine in campi di battaglia.
Inoltre, mentre le divisioni
tra paesi poveri aumentavano, la globalizzazione economica provocò
spostamenti di masse umane che attraversavano quelle linee che in astratto
delimitavano e classificavano le varie aree economiche del mondo. Come mai
in passato dai paesi ricchi un ingente flusso turistico si riversò nel
Terzo mondo. A metà degli anni '80 (nel 1985), per citare solo alcuni paesi
musulmani, i sedici milioni di malesi ricevevano tre milioni di turisti
all'anno; i sette milioni di tunisini ne ospitavano due milioni; i tre
milioni di giordani ricevevano due milioni di turisti. Dai paesi poveri
l'emigrazione di manodopera verso i paesi ricchi si gonfiò a dismisura, a
meno che gli emigranti non fossero arginati da barriere politiche. Nel 1968
gli emigrati dai paesi del Maghreb (Tunisia, Marocco e, soprattutto,
Algeria) formavano già un quarto di tutti gli stranieri residenti in
Francia (nel 1975 il 5,5 % della popolazione algerina era