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P. Melograni, La modernità e i suoi nemici, Mondadori, Milano 1996, pp. 187-92, in Giardina-Sabbatucci-Vidotto, Profili storici dal 1900 ad oggi, vol. II, Laterza, 2000, pp. 695-697
L'opposizione al consumismo
Nelle società sviluppate, le masse sono di continuo accusate di essere consumiste. Consumismo è una parola nuova, usata in senso spregiativo, che sta a indicare una forte propensione ai consumi materiali. Chi rivolge alle masse l'accusa di essere consumiste intende dunque dire che esse sono materialiste, volgarmente edoniste, lontane dai valori spirituali, dai gusti e dagli stili raffinati delle élite. La verità è che nelle società tecnologicamente sviluppate, per la prima volta nella storia dell'umanità, anche le masse hanno infine conquistato i mezzi per consumare quindi, per mangiare in abbondanza ,disporre di vestiti,scaldare o rinfrescare le loro abitazioni, viaggiare nel vasto mondo e, all'occorrenza, sperperare. Prima potevano farlo solo pochi ricchi, e in modo sfrenato. Oggi lo fanno quasi tutti, in proporzione alle loro capacità economiche. Tuttavia, come è stato sottolineato da Lawrence Stone a proposito degli agi che facilitano le relazioni sessuali, le masse dell'Occidente possiedono attualmente una qualità di vita superiore a quella dei ricchi aristocratici del passato. Tutto ciò rende furiosi molti eredi di quegli aristocratici e delle antiche che élite, forse perché essi, non posseggono più le qualità umane atte a distinguerli dagli altri.
L'esibizione dei consumismo
Le masse contemporanee danno spesso
l'impressione di voler possedere un oggetto non per utilizzarlo, ma per
esibirlo. Danno l'impressione, in altre parole, di non possedere altra cultura
se non quella del consumismo. Ma la spiegazione di questo limite deve essere
cercata nel fatto che il mondo tecnologicamente sviluppato è ancora in attesa
di una cultura capace di sostituire in maniera adeguata l'insieme delle regole
antiche. Durante questa attesa, in un mondo che misura il successo con il
denaro, l'uomo-massa cerca di rassicurare se stesso e di affermare il suo
prestigio sociale anche attraverso l'esibizione di quanto gli è riuscito di
acquistare.
Non è escluso, del resto, che un
comportamento analogo fosse rilevabile anche nelle élite del passato. Un'esibizione
della ricchezza, a ben riflettere, è un fenomeno antico, che serviva a
confermare la superiorità dei potenti. Perfino i quadri dei pittori famosi
erano spesso acquistati e collezionati dai facoltosi signori di un tempo come
status-symbol, non perché fossero davvero amati e capiti.
Il
consumismo dell'epoca contemporanea è favorito da una considerazione molto
pratica: il basso costo degli oggetti e l'alto costo delle riparazioni. Produrre
in serie costa sempre di meno. Riparare, ricucire, rammendare e restaurare costa
sempre di più, perché il costo del lavoro artigianale è in continua crescita.
Gli uomini e le donne dell'epoca agricola riaggiustavano tutto quanto il
riaggiustabile perché non avevano altra scelta. Non erano in grado di
sostituire facilmente un vestito, un fazzoletto, un paio di calze, una brocca.
Per lo stesso motivo anche le immondizie
erano ridotte ai minimi termini. Non si buttava il pane raffermo. Gli avanzi dei
pasti venivano sempre riciclati. Non si gettavano i fogli di carta usati. Le
saponette erano utilizzate fino all'ultima scaglia. Gli abiti vecchi venivano
rivoltati. Dagli indumenti più logori si ricavavano gli stracci per pulire i
pavimenti. Inoltre, in quell'epoca, il progresso tecnologico procedeva seguendo
ritmi molto lenti, così che un oggetto non era quasi mai considerato superato.
Nella società rivoluzionata dal capitalismo tecnologico, viceversa, quasi tutto
diventa rapidamente obsoleto. La vecchia penna stilografica è stata sconfitta
dalle nuove penne usa e getta. La macchina per scrivere è stata sconfitta dal
computer. I macinini sono stati sconfitti dai frullatori e i vecchi frullatori
da quelli più moderni.
La mentalità antica induceva a salvare e
conservare tutto. Sembra che anche per questa ragione, durante la seconda guerra
mondiale, molti non si allontanassero in tempo dalle loro case minacciate dalla
guerra e numerosi ebrei non facessero in tempo a fuggire da Hitler. Credevano
che le loro masserizie e le loro macchine per cucire a manovella o a pedale
fossero indispensabili alla sopravvivenza. Non immaginavano che, se avessero
raggiunto l'America, avrebbero potuto molto facilmente comprare a credito
oggetti assai più moderni e utili.
Il mondo sviluppato, oltre agli
oggetti, consuma molto rapidamente le idee, le immagini, i personaggi, gli
spettacoli. E le ragioni sono almeno due. La prima si collega alla velocità con
la quale esso si trasforma. Le opinioni, le proposte, le soluzioni che appena
ieri sembravano giuste e corrette, sono oggi superate. La seconda ragione si
collega all'enorme diffusione raggiunta dai mezzi di comunicazione di massa:
idee, immagini, personaggi e spettacoli possono essere immediatamente consumati
da milioni se non da miliardi di persone in tutto il mondo. Questa immensa e
rapidissima propagazione può suscitare effetti ambivalenti.
Un attore comico, per esempio, conquisterà
grande popolarità apparendo in televisione. Ma, essendo inevitabilmente
circoscritta la sua capacità di rinnovare le battute, la sua immagine di comico
rischierà di subire vari danni dal mezzo televisivo. Ancora nella prima metà
del XX secolo, per esempio, un attore comico come Ettore Petrolini incontrava
soltanto le piccole folle dei teatri e riusciva ad affinare nel tempo il suo
spettacolo ripetendolo più volte di fronte a un pubblico sempre rinnovato.
Oggi, in una sola serata televisiva, l'attore consuma tutto o quasi il suo
patrimonio di trovate e di trucchi. Per costruire un nuovo spettacolo, senza
ripetersi, dovrà sottoporsi a sforzi mai affrontati in passato.
Qualcosa di simile potremmo dire per i
personaggi politici. Anch'essi conquistano credito e considerazione grazie alla
televisione e agli altri mezzi di comunicazione di massa. Ma, essendo
necessariamente limitata la loro capacità di produrre idee, corrono rischi
simili a quelli degli attori. Prima erano in grado di ripetersi davanti alle
folle sempre diverse dei teatri e delle piazze. Ripetendosi oggi sul piccolo
schermo provocano assuefazione, noia, fastidio.
Perfino
la musica più bella e ammaliante può essere devastata dai nuovi mezzi di
comunicazione. Varie composizioni di autori classici sono state sfruttate dalle
colonne sonore dei film, dagli spot pubblicitari, dalle segreterie telefoniche e
dagli altoparlanti dei grandi magazzini. Spesso sono utilizzate e stravolte dai
compositori di musica leggera. E il risultato di tanto consumo è che esse
perdono gran parte del loro fascino. L'ascolto della sinfonia K. 550 di Mozart,
per esempio, risulta oggi completamente rovinato.
Alcuni ritengono che anche la possessiva
insistenza con la quale rotocalchi, cinema e televisione propongono immagini di
sesso abbia finito per ridurre la reattività erotica di gran parte del
pubblico.
Abbiamo già detto che chi si lamenta
per il consumismo delle masse intende accusarle di materialismo. E' possibile che
l'accusa possieda un suo fondamento. Dovremmo però chiederci se
atteggiamenti
materialistici non esistessero già, magari in misura ancora maggiore, nei
secoli scorsi. Molte testimonianze, infatti, ci dicono che nella povera società
agricola le motivazioni di molti comportamenti erano strettamente legate
all'economia, sia pure all'economia della miseria Si sceglieva una sposa perché
possedeva una baracca o un fazzoletto di terra. Si uccideva un uomo per
derubarlo di pochi soldi. Si tradiva un amico per un piatto di minestra. Si
mandava in prigione qualcuno perché aveva preso una mela.
La fame e l'indigenza inducevano un numero
enorme di persone a vivere addirittura nell'ossessione delle esigenze materiali
immediate. L'analfabetismo, la sporcizia, la violenza facevano sì che
l'esistenza di moltissimi assomigliasse a quella degli animali. Anche i signori
erano molto spesso analfabeti, violenti, avidi e volgarmente materialisti.
Viceversa, nelle società consumiste sono
cresciuti, come mai era accaduto nel passato, anche i consumi legati alle
esigenze spirituali. Nella storia del mondo non sono mai state destinate tante
risorse alle scuole, alle università, alla ricerca, ai musei, agli spettacoli e
alle biblioteche, come invece accade oggi nelle società economicamente
sviluppate. Molti si lamentano perché le librerie non sono abbastanza
frequentate, ma non si sono mai venduti tanti libri, giornali e riviste come
oggi.
Inoltre, come ha fatto notare Philippe
Ariès, la civiltà industriale non riconosce più un'anima alle cose. Un'automobile,
una volta acquistata, «non nutre più per molto la contemplazione». Le cose
sono mezzi di produzione oppure oggetti di consumo, «da divorarsi», e non
costituiscono più un tesoro, come quello di fronte al quale Arpagone cadeva in estasi. Le società economicamente sviluppate, in
altre parole, risultano meno materialiste di quelle più antiche: «Il declinare
delle credenze religiose, delle morali idealistiche e normative» secondo Ariès
« non mette capo alla scoperta di un mondo più materiale». L’uomo medievale
credeva a Dio e alla materia. L’uomo di oggi, nella sua vita quotidiana, «non
crede alla materia più di quanto creda a Dio».
Pista
di riflessione.
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