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Rivoluzione industriale

L'iniziativa personale, la figura dell'inventore imprenditore, l'idea di sfruttare al meglio la novità appartengono sono alla base dello sviluppo industriale in Inghilterra.

Peter L. Payne, Impresa industriale e management in Gran Bretagna, Einaudi, 1979, pp. 256-260, in Manzoni-Occhipinti, cit.

Durante il periodo classico della rivoluzione industriale, è "realistico" pensare nei termini dell'imprenditore individuale, l'uomo (o il piccolo gruppo di uomini) «con genio e risorse» che organizzava, gestiva e controllava gli affari di un'unità che combinava i vari fattori di produzione necessari per l'offerta di beni e servizi.Si è affermato che il periodo intermedio del secolo XVIII vide una fioritura di personalità imprenditoriali, e che l'accelerazione della crescita economica fu in una certa misura legata al fatto che una parte crescente della popolazione possedeva e metteva a frutto qualità imprenditoriali. Le indagini sulle origini di questi pionieri indicano, come ha dimostrato T .S. Ashton, che essi «provenivano da tutte le classi sociali e da tutte le parti del Paese»; sebbene ricerche successive abbiano esteso le nostre conoscenze sulla classe imprenditoriale e sulle sue origini geografiche, sociali e occupazionali, è ancora lecito affermare che il grosso degli industriali noti comprendeva rappresentanti di tutti gli strati sociali, di tutti i Paesi e praticamente di tutte le attività economiche. La provenienza < dai livelli inferiori degli strati intermedi> - spesso in rapporto con la classe mercantile - sembra essere stato il tratto predominante; ma finché molti imprenditori non emergono dall'oscurità e dall'anonimato, queste e altre generalizzazioni sui contributi relativi di ciascun gruppo sociale alla trasformazione dell'economia continueranno a essere delle tesi azzardate e potenzialmente fuorvianti.

Allo stato attuale delle nostre conoscenze, sembrerebbe che i non conformisti comprendessero «una quota straordinariamente ampia della classe degli imprenditori». Le spiegazioni di questa apparente correlazione tra il dissenso religioso e l'attività imprenditoriale nell'Inghilterra del secolo XVIII hanno sottolineato l'importanza di certi precetti fondamentali delle dottrine dei dissenzienti, tali da promuovere l'attività imprenditoriale, ma i dati riportati non sono interamente convincenti. Neppure la tesi di Ashton, secondo la quale i dissenzienti della classe media avevano un accesso piú facile all'istruzione (la «spiegazione piú semplice») non è rimasta esente da aspre critiche: in particolare si è sottolineato il fatto che il ruolo unico e innovatore delle Dissenting Academies è stato esagerato. Gli psicologi hanno recentemente aggiunto una nuova e affascinante dimensione alla nostra conoscenza delle motivazioni imprenditoriali sottolineando la necessità di realizzazione e di conseguimento di uno status superiore attraverso la creatività e l'innovazione, evidentemente operante attraverso sistemi educativi che sono a loro volta influenzati da convincimenti religiosi. Resta il sospetto che l'elevata percentuale di non conformisti tra gli < imprenditori che hanno raggiunto un grande successo» possa essere spiegata non in termini di precetti religiosi, o del loro superiore livello di istruzione o ancora del loro bisogno di realizzazione, ma con la loro appartenenza a grandi famiglie che consentivano a essi ampio accesso al credito, senza il quale le loro imprese e i relativi affari non avrebbero prosperato come avveniva per altre famiglie, con una rete meno fitta di rapporti, le quali si trovavano costrette a chiudere.

Nelle ricerche che sono necessarie per verificare o rafforzare queste ipotesi, con cui potremmo estendere la nostra conoscenza sulle origini sociali dello sviluppo economico, è lecito sostenere l'opportunità di un'indagine sulla potenziale influenza della famiglia sugli atteggiamenti imprenditoriali. Oggi, infatti, sappiamo di piú - o almeno finora sono stati compiuti maggiori tentativi di scoprire e indagare in questa direzione - sull'affiliazione religiosa che non sulla posizione familiare dei grandi imprenditori. Vi sono tuttavia alcuni dati secondo i quali soltanto i figli piú anziani - anche se probabilmente non erano né meglio né peggio dotati dei loro cadetti - tendono a diventare, come risultato dell'esperienza svolta nella loro particolare posizione, piú capaci dei loro fratelli ad affrontare situazioni che richiedono iniziativa individuale.

Comunque sia, i primi imprenditori - quali che fossero le loro origini geografiche, occupazionali o sociali - avevano delle motivazioni simili. Eppure, come ha osservato Perkin, « il perseguimento illimitato della ricchezza in quanto tale è un fenomeno raro> (e cita Adam Smith': «a quale scopo tutto questo affaccendarsi e faticare... è la nostra vanità che ci spinge... non è la ricchezza che gli uomini desiderano, mala considerazione e la buona nomea associate alla ricchezza»)... Il perseguimento della ricchezza si identificava dunque con il perseguimento dello status sociale, non semplicemente per se stessi ma anche per la famiglia». Questo atteggiamento significò spesso l'acquisizione di una tenuta agricola, l'acquisto o la costruzione di una grande casa, e la ricerca del potere politico a livello nazionale o locale. Fu sempre tosi, durante e dopo la rivoluzione industriale. Soltanto l'attrattiva della terra, la casa di lusso e il titolo di nobiltà o il cavalierato, come simboli di avanzamento sociale sembrano essere mutati nel tempo; quanti hanno sostenuto che questo perseguimento di fini non economici comportò inevitabilmente un'emorragia di talenti imprenditoriali, con il progredire del secolo xix, dovrebbero riequilibrare tale giudizio con quello che potrebbe essere chiamato l'effetto dimostrativo del consumo vistoso o l'elevazione sociale sugli uomini nuovi che si sforzano come gruppo di emulare coloro che hanno già conseguito il successo.

V'è piú di una ragione per ritenere che molte nuove imprese in fase di ascesa non sarebbero mai esistite, né che piccole imprese sarebbero mai cresciute, se i loro fondatori o proprietari o le loro mogli socialmente ambiziose non avessero visto o non avessero conosciuto i risultati tangibili del successo commerciale o industriale. [...]

Nello svolgere la sua funzione, l'imprenditore dei primi tempi - quali che fossero le sue origini, le sue motivazioni o la sua posizione in famiglia - viene frequentemente ritenuto dotato di particolari qualità di leadership, della capacità di innovare e di affrontare dei rischi. Ma in che misura i primi uomini d'affari ebbero effettivamente le doti che tosi spesso vengono loro attribuite?

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Una funzione specifica comune a tutti gli imprenditori fu quella di affrontare dei rischi. Il principio essenziale della proprietà esclusiva o della società di pochi membri come metodo di organizzazione economica è che chi prende le decisioni ha un esclusivo diritto di proprietà sui suoi strumenti di produzione; e attraverso l'unificazione della proprietà e della gestione, i partner che corrono i rischi prendono anche la decisione che ne determina la portata. È importante riconoscere che una delle funzioni legittime del proprietario-manager fu quella di ridurre il rischio al minimo. Soltanto tosi il paradosso dell'impresa e della cautela, esistenti contemporaneamente, può essere risolto. Alla fine del secolo XVI e all'inizio del XIX le possibilità di ridurre il rischio erano molto ampie, in particolare quella di un atteggiamento duro nei confronti della forza-lavoro, che poteva essere assunta e licenziata quasi a discrezione dei padroni, soprattutto quando i costi fissi erano bassi; oppure si potevano stipulare degli accordi per la fissazione del prezzo o del prodotto, i cui sbocchi erano stati allargati dall'esistenza dei mercati regionali. Ma qual era il tipo e il grado di rischio sostenuto dai primi imprenditori? In molti raffronti tra gli imprenditori della rivoluzione industriale e quelli, per esempio, dell'ultimo quarto del secolo XIX, c'è implicito il presupposto che, mentre i primi erano disposti a intraprendere le operazioni piú azzardate, gli altri erano tosi sopraffatti dalla paura di subire delle perdite, o tosi abbandonati al compiacimento, che sfumarono numerose opportunità che i loro vigorosi progenitori avrebbero prontamente sfruttato.