Marcel
Griaule, Dio d’acqua, Garzanti, Milano, 1972, pagg. 19-24
Ogotemmeli
A
Ogol Basso, come in ogni villaggio Dogon, case e granai erano affastellati gli
uni sugli altri. Le terrazze di argilla si alternavano ai tetti conici di
paglia. A ficcarsi nei suoi viottoli d'ombra e di luce, fra le piramidi tronche,
i prismi, i cubi e i cilindri dei granai e delle case, i portici rettangolari,
gli altari rossi o bianchi a forma di ernia ombelicale, ci si sentiva come nani
sperduti in un rompicapo. Tutto era crepato sotto le piogge e il calore: le
pareti di argilla e di paglia erano
spaccate come pelle di pachiderma. Da sopra i muri dei cortiletti, si vedevano,
sotto le fondamenta dei granai, i polli, i cani gialli e, a volte, le grandi
tartarughe, simbolo dei patriarchi.
A
un gomito del sentiero, ci si trovava davanti a una porta tagliata con
l'accetta, che, anche se fosse stata nuova, non avrebbe potuto ostruire
l'entrata segnata da due piloni di terra e da un frontone di ceppi. Una porta
larga come due spalle, con le venature del legno scavate dalle piogge invernali
e simili a onde nelle quali i nodi si spalancavano come occhi. La siccità, le
mani che vi si erano aggrappate, i musi delle capre avevano consumato il
battente che strideva sul suo perno e sbatteva contro il muro con un rumore di
gong, scoprendo il cortile miserabile dell'uomo piú straordinario delle pianure
e delle rocce, da Oropa fino a Nimbé, Asakarba e Tíntam. Il bianco avanzò su
un letame magro' di vecchio senza figli. Una facciata a cellette, forata al
piano terreno da una porta bassa e, al primo piano, da un adito schiacciato, si
drizzava al centro del cortile, nascondendo l'edificio principale. Sul frontone
si aprivano dieci nicchie per le rondini; otto coni coperti da pietre piatte
ornavano lo spigolo. A destra e a sinistra, simili a dadi giganteschi, si
allineavano sei granai, due dei quali, di proprietà del vicino, mostravano la
facciata posteriore. Delle quattro costruzioni, una era vuota, un'altra
sconnessa, la terza squarciata di traverso come un frutto morsicato. Una sola
sopravviveva, piena a metà di semi. Di fronte, tra l'edificio principale e i
granai, una casa bassa chiudeva il cortile, smorzando il lieve rumore della
vita. A destra, in un ridotto scoperto, delle piume ruotavano senza sosta,
trascinate senza violenza da un mulinello di vento.
L'uomo
che accompagnava il bianco lanciò le formule di saluto. Subito una voce, nella
quale le parole suonavano distintamente, rispose:
"
Dio vi porti! Dio vi porti! "
"
Salve! Come va il tuo corpo?
La
voce si avvicinava lentamente. Dall'ombra interna venivano dei fruscii di mani
sfregate sui muri e sul legno degli stipiti. Un bastone tastava le pareti; si
senti un suonar vuoto di vasellame; alcuni pulcini minuscoli sbucarono a uno a
uno dalla gattaiola, spinti da una grande vita che avanzava.
Finalmente
apparve una tunica bruna, tesa sulle cuciture e sfrangiata dall'uso come una
bandiera delle guerre di un tempo; poi una testa si chinò sotto l'architrave e
l'uomo si drizzò in tutta la sua statura, volgendo verso lo straniero il suo
volto indescrivibile:
"
Salute a coloro che hanno sete! " disse.
Le
labbra spesse parlavano la più pura lingua di Sanga. Non si vedeva nient'altro:
esse sole vivevano. Il resto era come ripiegato su se stesso, tanto più che,
dopo le prime parole, la testa si era chinata verso terra. Le guance, i pomelli,
la fronte, le palpebre non erano che un'unica identica devastazione: erano
increspati da cento rughe che conferivano loro un rictus doloroso, come di un
volto inondato da una luce troppo viva o sul quale cadesse di continuo una
gragnuola di pietre. Tutto pareva ancora sotto i colpi di una scarica a
bruciapelo, e gli occhi erano morti. Poiché i due visitatori venivano da fuori
e si supponeva che avessero lavorato nella calura, l'uomo, appoggiato 'al suo
bastone, disse infine:
"
Salute! Salute di fatica! Salute di sole!
La
cosa più lunga, quel primo giorno, fu la scelta del luogo, di un posto angusto
e appartato, della pietra dei colloqui. Davanti alla casa abitata, anche a
lasciare all'interno il vecchio
Ogotemmeli, anche ad accostare la testa alla sua e a parlare come in un
confessionale, si rischiava, secondo lui, di far drizzare le orecchie assidue
delle donne. Dall'altro lato della casa con la facciata, nell'esiguo cortiletto
battuto dal vento del nord, si poteva essere spiati dai bambini nascosti nei
granai in rovina. Restava il cortile stesso, col suo letame di miseria, la sua
pietra cava cenere e il suo muro calamitoso, incurvato al centro, all'altezza
dei curiosi.
Ogotemmeli
esitò ancora; c'era molto da dire sulla scomodità del cortile per le
conversazioni fra uomini maturi. Il bianco non apriva bocca che per approvare;
insistette perfino sull'indiscrezione dei muri, sulla stupidaggine degli uomini
e, naturalmente, sull'inconcepibile curiosità delle donne, sulla loro
inestinguibile sete di notizie. Era interessato da tutte quelle precauzioni che
gli parevano esagerate per la semplice vendita di un amuleto.
Finalmente
Ogotemmeli si sedette sulla soglia della porta inferiore della grande facciata;
si ripiegò su se stesso, col viso rivolto a terra, e, incrociando le mani sopra
la testa, coi gomiti appoggiati ai ginocchi, aspettò.
Il
bianco comprendeva a poco a poco che la vendita dell'amuleto non era che un
pretesto. Non se ne parlò mai nei colloqui che seguirono, e la ragione profonda
del gesto del vecchio doveva restare sconosciuta. Ma, da diversi particolari,
apparve in seguito che Ogotemmeli voleva dare allo straniero, il cui primo
soggiorno nel paese risaliva ormai a quindici anni prima e nel quale aveva
fiducia, la stessa. istruzione che egli aveva ricevuto da suo nonno e, poi, da
suo padre.
Ogotemmeli aspettava. Era lui stesso perplesso davanti alla situazione che aveva provocato, davanti a quell'uomo che non poteva vedere. Non che fosse per lui uno sconosciuto: da quindici anni sentiva parlare del gruppo di bianchi che, sotto la sua guida, dormivano sulla terra e cavalcavano:tra le rocce per studiare i costumi dei Dogon. Aveva seguito il loro lavoro fin dall'inizio, perché era molto legato con il vecchio Ambibé Babadyé, gran dignitario delle Maschere, e loro informatore ufficiale, morto da poco. Varie volte, nel corso di quei quindici anni, Ambibé era venuto a chiedergli informazioni e consigli. Attraverso i suoi racconti e secondo notizie raccolte da altri, si era fatta un'idea esatta delle intenzioni del suo interlocutore, che aveva fama di essere particolarmente accanito nella ricerca.
Ma
il caso era unico. Come istruire un bianco? Come portarlo al proprio livello per
quanto riguarda gli oggetti i riti, le credenze? Eppure, questo Bianco aveva già
smontato le Maschere, ne conosceva la lingua segreta; aveva percorso il paese in
tutti i sensi e, su certe istituzioni, ne sapeva quanto lui. Allora?
Il
Bianco lo tolse d'imbarazzo:
"
Su che cosa stavate tirando, quando il vostro fucile vi é scoppiato in faccia?
"
"
Su un porcospino. "
Il
Bianco voleva, per una via traversa, arrivare ai problemi della caccia, alle
regole concernenti il mondo animale e, da là, toccare il totemismo.
"
Fu un incidente, " dichiarò il vecchio. " Ma era anche l'ultimo
avvertimento. La divinazione mi aveva detto che dovevo smettere di cacciare, se
volevo conservare i miei figli. La caccia, che è un lavoro di morte, attira la
morte Ho avuto ventuno figli. Me ne restano cinque." Appariva, nelle sue
parole, il grande dramma della mortalità negra, la lotta profonda di questi
uomini senza difesa davanti alla morte, aggrappati alle loro credenze come tutti
gli uomini della terra, credenze che consolano e spiegano, ma che non . evitano
la prova. Su questa scena di dolore apparve la personalità di Ogotemmeli,
com'era in se stessa e nei suoi rapporti con le potenze soprannaturali. Fin
dall'età di quindici anni era stato iniziato ai misteri della religione da suo
nonno. Suo padre aveva continuato la sua istruzione dopo la morte del vecchio.
Sembrava che queste "lezioni " avessero avuto luogo durante più di
venti anni e che la famiglia di Ogotemmeli fosse di quelle in cui queste cose
non venivano prese alla leggera.
Senza
dubbio, anche Ogotemmeli aveva dimostrato molto presto di possedere
un'intelligenza sveglia e una grande abilità. Fino al suo accecamento, era
stato un cacciatore prodigioso e, pur essendo orbo da un occhio dall'infanzia in
seguito al vaiolo, tornava al villaggio con le mani piene quando gli altri si
affaticavano ancora nelle forre. Nella sua tecnica egli proiettava la sua
profonda conoscenza della natura, degli animali, degli uomini e degli dei. Dopo
il suo incidente la sua istruzione si era ancora accresciuta. Ripiegato su se
stesso, sui suoi altari e su ogni parola intesa, era diventato uno degli spiriti
più potenti del Massiccio.
Il
suo nome e la sua insegna erano conosciuti dalla gente dell'altipiano e dei
ravaneti. "Tutti i ragazzini
li sanno! " si diceva; e i postulanti si affollavano alla sua porta, ogni
giorno e perfino di notte. Poiché qualche berretto frigio spuntava da dietro i
muri e le donne, da lontano, facevano dei segni, fu necessario partire per
lasciare il posto ai clienti. Ma i contatti erano stati presi e i colloqui
dovevano organizzarsi per tacito accordo, secondo una specie di programma e a
delle ore opportune.
La
doppia anima e la circoncisione, pagg.
181-189
Il
raccolto era terminato da tempo. Gli uomini avevano piegato uno a uno gli steli
alti fino alla faccia, avevano tagliato la spiga o il grappolo e avevano
lasciato che il supporto alleggerito dal suo carico tornasse nella primitiva
posizione. I campi erano rimasti popolati soltanto di alte canne biondeggianti
che erano a poco a poco cadute sotto i coltelli. In enormi fascine bilanciate
sulla testa degli uomini o in mucchi affastellati sul dorso degli asinelli che
vi scomparivano sotto, esse se ne andavano ora lungo i sentieri sfiorando i muri
d'argilla, per lasciarsi poi cadere in mezzo ai cortili a ingrassarne il letame.
Era
finito il breve periodo nel quale le lunghe canne, seccate dal sole, venivano
rubate dai bambini che correvano nudi i villaggi brandendole come immense lance
sulle quali sventolavano, a guisa di banderuole, foglie che stridevano all'aria.
Si riunivano in gruppi di cinque o sei e accerchiavano i cani nei vicoli ciechi
per bastonarli. Per una settimana buona, non appena scorgevano in fondo a una
piazza
il
più piccolo bambino, i cani fuggivano radendo i muri.
Questi
giochi cessavano per mancanza di lance: il calpestio delle pecore e degli uomini
finiva con lo spezzarle e integrarle al letame dei cortili. I bambini passavano
lentamente a un altro ciclo: quello di stare clandestinamente all'erta spiando
la caduta prematura dei frutti di baobab.
"
I non circoncisi, " diceva Koguem, " non sognano che disordine e
impicci. "
Egli
vedeva la cosa semplicemente. Per Ogotemmeli, la condizione dell'infanzia era più
complessa. Ascoltandolo, si capiva l'instancabile sollecitudine degli adulti per
i piccoli, l'emozione degli uomini e delle donne di fronte a quella che alcuni
sociologi hanno chiamato " l'invasione barbarica " che ogni anno
sommerge la società attraverso le nuove nascite.
I
bambini, infatti, stanno al margine del gruppo sociale. Hanno la loro vita a
parte, i loro sentieri, il loro materiale, i loro greggi di coleotteri e di
cavallette con le ali spezzate per precauzione. Conoscono il valore della
festuca, del ciotole rotondo, dello stelo di nenufaro usato come flauto. Nudi,
non hanno alcuna vergogna. Il pericolo li lascia indifferenti. Un'inezia li
atterrisce. Manifestano una misteriosa inclinazione per la morte.
"
Nulla in essi è fisso, " disse Ogotemmeli.
E
spiegò che anche quella, come tutte le cose, risaliva all'origine della
creazione.
"
La regola perché tutto sia nel giusto, " disse il cieco, " sarebbe di
essere due. La sorgente di tutti i disordini è la solitudine dello sciacallo,
figlio primogenito di Dio. Non si può negare che lo sciacallo sia una cosa
cattiva, perché la sua solitudine lo ha spinto verso sua madre. Per questo, per
evitare la solitudine, ad ogni parto il Nommo chiede a Dio una nascita doppia.
Ma la sua preghiera non viene sempre esaudita. Per questo egli ha dato due anime
a ogni neonato. "
All'europeo,
infatti, era sempre sembrato sorprendente che il nome dell'anima - per impiegare
un termine della nomenclatura tradizionale - fosse composto dalla ripetizione di
uno stesso vocabolo: kinndu-kinndu, che si dovrebbe tradurre: " anima-anima
".
"
II Nommo crea per ogni essere due anime gemelle. "
Perché
il Nommo assiste al parto che avviene nella seconda camera della grande casa,
fra i quattro pali di sostegno. La donna sta seduta su una sedia bassa, o su un
mortaio rovesciato; due matrone la aiutano. Il bambino viene alla luce sulla
terra, che deve toccare con le sue quattro membra.
Perché
il Nommo ha disegnato sulla terra il profilo di due anime, due sagome di forma
umana. La prima è femmina, la seconda è maschio. E quando il neonato tocca il
suolo, le due anime penetrano in lui.
"
Egli è uno nel corpo, ma due nello spirito. "
Sull'origine
di queste anime, sul serbatoio senza fondo o sempre rinnovantesi dal quale il
Nommo attingeva per i suoi doni incessanti, Ogotemmeli non diede spiegazioni.
Il
bambino viene dunque al mondo provvisto di due principi di sesso differente e,
teoricamente, appartiene all'uno quanto all'altro; il sesso della sua persona è
indifferenziato. Praticamente, con una anticipazione, la società gli riconosce
subito il sesso che egli ha in apparenza. Tuttavia, l'androginia spirituale
resta presente attraverso alcuni particolari del simbolismo.
Così
la madre, dopo essersi sgravata, rimane chiusa in casa per quattro settimane (di
cinque giorni). Esce poi nel villaggio col neonato sul dorso, e, per tre
settimane, porta in mano una freccia se si tratta di un maschio, un coltello se
si tratta di una femmina, apparentemente per proteggerli contro i pericoli
visibili e invisibili.
Questi
due periodi di 4 e di 3 settimane portano la cifra della donna e dell'uomo.
"
Durante le prime quattro settimane, la donna che ha dato alla luce una femmina
fila del cotone. "
Essa
ricorda, in questo modo, il lavoro principale a cui è destinata la futura donna
che ha appena messo al mondo. Se ha dato alla luce un maschio, essa fila
ugualmente, ma meno; si tratta soltanto, in questo caso, di manifestare la
solidarietà dell'uomo tessitore e della donna filatrice.
Il
fuso femminile maneggiato nell'ombra della camera e la freccia maschile esibita
nelle strade dalla madre di un maschio, convergono nella dimostrazione
dell'origine celeste dell'umanità:
"
Quando una bambina viene al mondo," disse Ogotemmeli, " la madre regge
il suo fuso per ricordare che il granaio venuto dal ciclo era attaccato a un
fuso confitto nella volta. Il filo che essa svolge è quello che si è dipanato
durante la discesa. "
Quanto
alla madre di un maschio, la freccia che essa porta in mano è quella che il
fabbro brandiva per difendersi nella sua traversata spaziale.
Ma
i due oggetti hanno lo stesso significato, perché le frecce del fabbro erano
dei fusi muniti di punte. E quella che egli scoccò nel granaio divenne l'asse
del quale l'intero edificio era l'enorme fusaiuolo.
I
gesti e gli oggetti che accompagnano la nascita ricordano dunque la
riorganizzazione del mondo; essi esprimono l'integrazione del neonato nel
sistema rivelato dal fabbro e dal Nommo Settimo, manifestano la natura umana
fatta per il lavoro.
"
E quando la nascita è doppia? " chiese l'europeo.
A
questa domanda immensa, conveniva una lunga risposta. Ogotemmeli la rimandò a
un'altra occasione. Il culto fondamentale dei gemelli sarebbe stato discusso più
tardi.
L'europeo
apprese, tuttavia, che, al momento della nascita, ciascuno dei gemelli riceveva
due anime e che si osservavano per essi le stesse abitudini che si seguivano per
gli altri. Ma (particolare importante), se il periodo di clausura aveva la
stessa durata, l'uscita " in armi " della madre era protratta a
quattro settimane, il che significava otto settimane in tutto prima di
riprendere la vita normale. Perché otto è la cifra della perfezione, come
Ogotemmeli aveva già spiegato.
Munito
delle sue due anime, il bambino segue la sua sorte. Ma i suoi primi anni sono
caratterizzati dall'instabilità della sua persona. Finché conserva il prepuzio
o la clitoride, supporti del sesso contrario a quello apparente, mascolinità e
femminilità hanno la stessa forza. Non è giusto, perciò, paragonare il non
circonciso a una donna; come la donna che non ha ancora subito l'escissione,
egli è insieme maschio e femmina. Se questa indecisione in cui si trova quanto
al suo sesso dovesse protrarsi, l'essere non avrebbe mai alcuna inclinazione
alla procreazione. La clitoride della bambina è, infatti, un gemello simbolico,
un surrogato maschile col quale essa non potrebbe riprodursi e che, anzi, le
impedirebbe di unirsi a un uomo. Come Dio ha visto drizzarsi davanti a sé il
membro della terra, cosi l'uomo che si unisse a una donna non escissa sarebbe
" punto ", e l'opportunità della sua presenza contestata dalla
clitoride che si pretenderebbe sua eguale.
D'altra
parte, l'individuo non può condursi in modo normale sotto una doppia direzione.
Bisogna che uno dei due principi prevalga sull'altro.
"
II bambino non può fare nulla di serio, e nulla gli si può fare di serio finché
non è stato circonciso. "
Egli
non può ricevere la sua insegna, né celebrare un culto, né sopportare i
rimedi che i guaritori danno contro le malattie, né utilizzare gli amuleti.
Queste pratiche suppongono, infatti, un andirivieni di forze vitali troppo
violente per un essere la cui anima non si è ancora "fissata".
Ma
la dualità dell'individuo non è la sola causa della sua instabilità: poiché
Dio l'ha plasmato con la gleba, l'uomo ha contratto verso la terra un debito che
deve pagare col suo sangue. Deve sacrificare se stesso su colei da cui è nato:
"
Lo spargimento del sangue della circoncisione, " disse il cieco, " si
può paragonare all'offerta di una vittima sugli altari. Ed è la terra che
viene a bere il sangue. "
Finché
questo conto non è stato regolato, l'anima non può essere stabile, e
l'individuo non ne è proprietario.
"
Fin dalla nascita, il bambino è come allacciato alla terra da un vincolo detto
'filo di Dio', che parte dal prepuzio o dalla clitoride e penetra nel suolo.
Questo legame si fissa nel momento in cui il neonato tocca la Terra, ed è fatto
di sangue. Si sposta e penetra sempre nel suolo ai piedi di chi lo porta. Esso
viene reciso con la circoncisione. "
"
Chi è, dunque, la Terra? "
Ogotemmeli
non rispose direttamente:
"
Lo spargimento del sangue serve per rendere alla Terra quel che essa ha
prestato. Ma non è soltanto la Terra che riceve quel che le è dovuto. Anche il
Nommo viene a bere, e chiama il Lebé, che lo segue e viene anche a bere.
Tuttavia il sacrificio non è destinato ad essi; è fatto per la Terra e per
tutto ciò che è terra, cioè anche per la prima coppia plasmata da Dio. "
o
"
Ma il Nommo? E il Lebé? "
"
II posto in cui stava il vecchio (cioè, la tomba del Lebé), la gleba con la
quale Dio ha formato l'uomo, e il Lebé risuscitato sulla terra, queste tre cose
sono, in realtà, una cosa sola. "
Ogotemmeli
esponeva il principio dell'unità dell'universo. La tomba della resurrezione è
gleba; l'uomo è gleba; il vecchio risuscitato era gleba e nella gleba egli fu
vomitato e rigenerato.
Il
risuscitatore, infine, morto anche lui e inumato sotto la fucina, risuscitò
nella gleba.
"
Ma perché ferire l'uomo nel suo sesso? "
"
Perché il prepuzio e la clitoride sostengono l'anima che deve allontanarsi. E
anche perché il feto comincia con il sesso. "
Nel
grembo, l'essere è, in principio, un sesso al quale si aggiunge una testa. Il
corpo si sviluppa più tardi. Il sesso è l'altare maestro della fondazione
dell'uomo". Cosi Dio, per ogni essere, procede come al momento della prima
creazione, e innalza " l'altare " dell'uomo come un fondatore innalza
l'altare di fondazione del villaggio.
Ma
non è solo il corpo che è fatto di terra. Alcuni dicono che Dio ha plasmato le
anime come i corpi, e che l'anima viene disegnata sulla terra al momento della
nascita.
Sembra
anche che all'idea di debito vada congiunta l'idea di una forza nefasta che la
persona riceve insieme alla sua condizione terrena. Di qui la necessità di
sbarazzarsi, alla fine dell'infanzia, di questo elemento che viene restituito al
suo luogo d'origine.
Alla
base della circoncisione e dell'escissione vi sono dunque varie ragioni:
necessità di liberare il bambino da una forza nefasta, necessità di pagare un
debito di sangue e di assumere un sesso definitivo. A ciò bisogna aggiungere
che l'uomo deve, per solidarietà, soffrire nel suo sesso come la donna.
L'operazione
viene preparata fin dal momento della nascita, e, trattandosi di assicurare la
fissazione dell'anima, ci si serve degli altari di famiglia per trattenerla nel
bambino.
"
La freccia che la madre di un maschio porta con sé, " disse Ogotemmeli,
" l'ottava settimana dopo la nascita viene deposta sull'altare della
famiglia. Il padre sgozza una vittima dicendo: 'Dio! accetta questo sangue e fai
uscire la sorte da mio figlio. "
Da
quel momento, le anime degli antenati, venute ad abbeverarsi all'altare, aiutano
il bambino nel suo processo di assimilazione spirituale e gli comunicano una
parte della loro forza, concentrata nel fegato della vittima che gli viene fatto
assaggiare.
"
La vigilia della circoncisione, si chiede ancora davanti all'altare la
fissazione dell'anima. E nell'istante in cui il .prepuzio viene reciso, l'anima
maschile si reca nell'altare. Essa vi resta per tutto il tempo del ritiro. Dopo
la guarigione e il ritorno del bambino, si sgozza per lui un'altra vittima ed in
lui. "
egli
ne mangia il fegato. A questo punto, l'anima ritorna.
Cosi
la circoncisione ha, come primo effetto, un'esplosione dello spirito: da una
parte, il prepuzio reciso, sostegno dell'anima femminile, si trasforma
invisibilmente nella lucertola detta " sole ". In questo modo il
bambino viene liberato della sua femminilità. Dall'altra, la sua anima
maschile, agendo come quella di una vittima, si allontana dal corpo e dimora
nell'altare di famiglia. Durante il periodo del suo ritiro, egli è privato dei
suoi principi spirituali, mentre quello, fra essi, che dovrà riprendere più
tardi aspetta con i morti. Il circonciso stesso è come un morto.
"
Quando il circonciso ritrova la sua anima nell'altare di famiglia, si è
completamente liberato dell'anima femminile separatasi da lui sotto forma di
lucertola? "
"
No! " disse Ogotemmeli, " egli conserva ancora la sua ombra che è
un'anima femminile ridotta che egli divide con la lucertola. Quest'ombra è
sciocca, mentre l'altra anima è intelligente. " Anche in questo caso, il
sistema speculativo dei Dogon appariva come una serie di azioni e di
compensazioni giustapposte.
"
La lucertola sole, " riprese Ogotemmeli, "simboleggia il prepuzio
femminile che circonda il pene maschile. Ma la sua coda corta assomiglia al
pene. Essa è rossa, e la lucertola fugge la luce perché non vuole essere
paragonata al pene. "
Questa
lucertola vive, infatti, sotto terra, e si mostra solo di rado.
"
La lucertola è femmina, " disse Ogotemmeli, " ma il dietro del suo
corpo assomiglia a un pene. È un prepuzio, ma è anche un pene scoperto. "
Circondato
da questo elemento femminile che è " sole ", rosso e sferico come
l'astro che è anche femmina, il pene finisce con l'essere guadagnato alla
femminilità.
E
questo simbolismo può essere inteso nel senso che il circoncisore, tagliando la
carne, libera e mette allo scoperto il pene, cioè il sole femmina.
"
Qual è il significato del sistro di zucca che i circoncisi portano durante il
loro ritiro? "
II
sistro è fatto di un bastoncino sul quale sono infilate delle rotelle di zucca,
simbolo della femminilità, con il bordo dentato. I bambini le agitano per
allontanare gli spiriti maligni e le donne.
" II bastone del sistro, " disse Ogotemmeli, " è il sesso liberato dal prepuzio. I dischi di zucca, in numero uguale a quello dei circoncisi, rappresentano i prepuzi della promozione. Il bambino agita il sistro con una mano; con l'altra, impugna un bastone ornato da una spirale di otto avvolgimenti incisa nella scorza. Il bastone è il genio dell'acqua, che guida i suoi passi; le volute rappresentano la spirale avvolta e svolta intorno al sole. "
Cosi il bambino tiene nelle sue mani la femminilità, l'acqua e la luce.