Marcel Griaule, Dio d’acqua, Garzanti, Milano, 1972, pagg. 19-24

Ogotemmeli

A Ogol Basso, come in ogni villaggio Dogon, case e granai erano affastellati gli uni sugli altri. Le terrazze di argilla si alternavano ai tetti conici di paglia. A ficcarsi nei suoi viottoli d'ombra e di luce, fra le piramidi tronche, i prismi, i cubi e i cilindri dei granai e delle case, i portici rettangolari, gli altari rossi o bianchi a forma di ernia ombelicale, ci si sentiva come nani sperduti in un rompicapo. Tutto era crepato sotto le piogge e il calore: le pareti di  argilla e di paglia erano spaccate come pelle di pachiderma. Da sopra i muri dei cortiletti, si vedevano, sotto le fondamenta dei granai, i polli, i cani gialli e, a volte, le grandi tartarughe, simbolo dei patriarchi.

A un gomito del sentiero, ci si trovava davanti a una porta tagliata con l'accetta, che, anche se fosse stata nuova, non avrebbe potuto ostruire l'entrata segnata da due piloni di terra e da un frontone di ceppi. Una porta larga come due spalle, con le venature del legno scavate dalle piogge invernali e simili a onde nelle quali i nodi si spalancavano come occhi. La siccità, le mani che vi si erano aggrappate, i musi delle capre avevano consumato il battente che strideva sul suo perno e sbatteva contro il muro con un rumore di gong, scoprendo il cortile miserabile dell'uomo piú straordinario delle pianure e delle rocce, da Oropa fino a Nimbé, Asakarba e Tíntam. Il bianco avanzò su un letame magro' di vecchio senza figli. Una facciata a cellette, forata al piano terreno da una porta bassa e, al primo piano, da un adito schiacciato, si drizzava al centro del cortile, nascondendo l'edificio principale. Sul frontone si aprivano dieci nicchie per le rondini; otto coni coperti da pietre piatte ornavano lo spigolo. A destra e a sinistra, simili a dadi giganteschi, si allineavano sei granai, due dei quali, di proprietà del vicino, mostravano la facciata posteriore. Delle quattro costruzioni, una era vuota, un'altra sconnessa, la terza squarciata di traverso come un frutto morsicato. Una sola sopravviveva, piena a metà di semi. Di fronte, tra l'edificio principale e i granai, una casa bassa chiudeva il cortile, smorzando il lieve rumore della vita. A destra, in un ridotto scoperto, delle piume ruotavano senza sosta, trascinate senza violenza da un mulinello di vento.

L'uomo che accompagnava il bianco lanciò le formule di saluto. Subito una voce, nella quale le parole suonavano distintamente, rispose:

" Dio vi porti! Dio vi porti! "

" Salve! Come va il tuo corpo?

 

La voce si avvicinava lentamente. Dall'ombra interna venivano dei fruscii di mani sfregate sui muri e sul legno degli stipiti. Un bastone tastava le pareti; si senti un suonar vuoto di vasellame; alcuni pulcini minuscoli sbucarono a uno a uno dalla gattaiola, spinti da una grande vita che avanzava.

Finalmente apparve una tunica bruna, tesa sulle cuciture e sfrangiata dall'uso come una bandiera delle guerre di un tempo; poi una testa si chinò sotto l'architrave e l'uomo si drizzò in tutta la sua statura, volgendo verso lo straniero il suo volto indescrivibile:

" Salute a coloro che hanno sete! " disse.

Le labbra spesse parlavano la più pura lingua di Sanga. Non si vedeva nient'altro: esse sole vivevano. Il resto era come ripiegato su se stesso, tanto più che, dopo le prime parole, la testa si era chinata verso terra. Le guance, i pomelli, la fronte, le palpebre non erano che un'unica identica devastazione: erano increspati da cento rughe che conferivano loro un rictus doloroso, come di un volto inondato da una luce troppo viva o sul quale cadesse di continuo una gragnuola di pietre. Tutto pareva ancora sotto i colpi di una scarica a bruciapelo, e gli occhi erano morti. Poiché i due visitatori venivano da fuori e si supponeva che avessero lavorato nella calura, l'uomo, appoggiato 'al suo bastone, disse infine:

" Salute! Salute di fatica! Salute di sole!

 

La cosa più lunga, quel primo giorno, fu la scelta del luogo, di un posto angusto e appartato, della pietra dei colloqui. Davanti alla casa abitata, anche a lasciare all'interno  il vecchio Ogotemmeli, anche ad accostare la testa alla sua e a parlare come in un confessionale, si rischiava, secondo lui, di far drizzare le orecchie assidue delle donne. Dall'altro lato della casa con la facciata, nell'esiguo cortiletto battuto dal vento del nord, si poteva essere spiati dai bambini nascosti nei granai in rovina. Restava il cortile stesso, col suo letame di miseria, la sua pietra cava cenere e il suo muro calamitoso, incurvato al centro, all'altezza dei curiosi.

Ogotemmeli esitò ancora; c'era molto da dire sulla scomodità del cortile per le conversazioni fra uomini maturi. Il bianco non apriva bocca che per approvare; insistette perfino sull'indiscrezione dei muri, sulla stupidaggine degli uomini e, naturalmente, sull'inconcepibile curiosità delle donne, sulla loro inestinguibile sete di notizie. Era interessato da tutte quelle precauzioni che gli parevano esagerate per la semplice vendita di un amuleto.

Finalmente Ogotemmeli si sedette sulla soglia della porta inferiore della grande facciata; si ripiegò su se stesso, col viso rivolto a terra, e, incrociando le mani sopra la testa, coi gomiti appoggiati ai ginocchi, aspettò.

Il bianco comprendeva a poco a poco che la vendita dell'amuleto non era che un pretesto. Non se ne parlò mai nei colloqui che seguirono, e la ragione profonda del gesto del vecchio doveva restare sconosciuta. Ma, da diversi particolari, apparve in seguito che Ogotemmeli voleva dare allo straniero, il cui primo soggiorno nel paese risaliva ormai a quindici anni prima e nel quale aveva fiducia, la stessa. istruzione che egli aveva ricevuto da suo nonno e, poi, da suo padre.

Ogotemmeli aspettava. Era lui stesso perplesso davanti alla situazione che aveva provocato, davanti a quell'uomo che non poteva vedere. Non che fosse per lui uno sconosciuto: da quindici anni sentiva parlare del gruppo di bianchi che, sotto la sua guida, dormivano sulla terra e cavalcavano:tra le rocce per studiare i costumi dei Dogon. Aveva seguito il loro lavoro fin dall'inizio, perché era molto legato con il vecchio Ambibé Babadyé, gran dignitario delle Maschere, e loro informatore ufficiale, morto da poco. Varie volte, nel corso di quei quindici anni, Ambibé era venuto a chiedergli informazioni e consigli. Attraverso i suoi racconti e secondo notizie raccolte da altri, si era fatta un'idea esatta delle intenzioni del suo interlocutore, che aveva fama di essere particolarmente accanito nella ricerca.

Ma il caso era unico. Come istruire un bianco? Come portarlo al proprio livello per quanto riguarda gli oggetti i riti, le credenze? Eppure, questo Bianco aveva già smontato le Maschere, ne conosceva la lingua segreta; aveva percorso il paese in tutti i sensi e, su certe istituzioni, ne sapeva quanto lui. Allora?

Il Bianco lo tolse d'imbarazzo:

" Su che cosa stavate tirando, quando il vostro fucile vi é scoppiato in faccia? "

" Su un porcospino. "

Il Bianco voleva, per una via traversa, arrivare ai problemi della caccia, alle regole concernenti il mondo animale e, da là, toccare il totemismo.

" Fu un incidente, " dichiarò il vecchio. " Ma era anche l'ultimo avvertimento. La divinazione mi aveva detto che dovevo smettere di cacciare, se volevo conservare i miei figli. La caccia, che è un lavoro di morte, attira la morte Ho avuto ventuno figli. Me ne restano cinque." Appariva, nelle sue parole, il grande dramma della mortalità negra, la lotta profonda di questi uomini senza difesa davanti alla morte, aggrappati alle loro credenze come tutti gli uomini della terra, credenze che consolano e spiegano, ma che non . evitano la prova. Su questa scena di dolore apparve la personalità di Ogotemmeli, com'era in se stessa e nei suoi rapporti con le potenze soprannaturali. Fin dall'età di quindici anni era stato iniziato ai misteri della religione da suo nonno. Suo padre aveva continuato la sua istruzione dopo la morte del vecchio. Sembrava che queste "lezioni " avessero avuto luogo durante più di venti anni e che la famiglia di Ogotemmeli fosse di quelle in cui queste cose non venivano prese alla leggera. 

Senza dubbio, anche Ogotemmeli aveva dimostrato molto presto di possedere un'intelligenza sveglia e una grande abilità. Fino al suo accecamento, era stato un cacciatore prodigioso e, pur essendo orbo da un occhio dall'infanzia in seguito al vaiolo, tornava al villaggio con le mani piene quando gli altri si affaticavano ancora nelle forre. Nella sua tecnica egli proiettava la sua profonda conoscenza della natura, degli animali, degli uomini e degli dei. Dopo il suo incidente la sua istruzione si era ancora accresciuta. Ripiegato su se stesso, sui suoi altari e su ogni parola intesa, era diventato uno degli spiriti più potenti del Massiccio.

Il suo nome e la sua insegna erano conosciuti dalla gente dell'altipiano e dei ravaneti.  "Tutti i ragazzini li sanno! " si diceva; e i postulanti si affollavano alla sua porta, ogni giorno e perfino di notte. Poiché qualche berretto frigio spuntava da dietro i muri e le donne, da lontano, facevano dei segni, fu necessario partire per lasciare il posto ai clienti. Ma i contatti erano stati presi e i colloqui dovevano organizzarsi per tacito accordo, secondo una specie di programma e a delle ore opportune.

  La doppia anima e la circoncisione, pagg. 181-189

 Il raccolto era terminato da tempo. Gli uomini avevano piegato uno a uno gli steli alti fino alla faccia, avevano tagliato la spiga o il grappolo e avevano lasciato che il supporto alleggerito dal suo carico tornasse nella primitiva posizione. I campi erano rimasti popolati soltanto di alte canne biondeggianti che erano a poco a poco cadute sotto i coltelli. In enormi fascine bilanciate sulla testa degli uomini o in mucchi affastellati sul dorso degli asinelli che vi scomparivano sotto, esse se ne andavano ora lungo i sentieri sfiorando i muri d'argilla, per lasciarsi poi cadere in mezzo ai cortili a ingrassarne il letame.

Era finito il breve periodo nel quale le lunghe canne, seccate dal sole, venivano rubate dai bambini che correvano nudi i villaggi brandendole come immense lance sulle quali sventolavano, a guisa di banderuole, foglie che stridevano all'aria. Si riunivano in gruppi di cinque o sei e accerchiavano i cani nei vicoli ciechi per bastonarli. Per una settimana buona, non appena scorgevano in fondo a una piazza

il più piccolo bambino, i cani fuggivano radendo i muri.

Questi giochi cessavano per mancanza di lance: il calpestio delle pecore e degli uomini finiva con lo spezzarle e integrarle al letame dei cortili. I bambini passavano lentamente a un altro ciclo: quello di stare clandestinamente all'erta spiando la caduta prematura dei frutti di baobab.

" I non circoncisi, " diceva Koguem, " non sognano che disordine e impicci. "

Egli vedeva la cosa semplicemente. Per Ogotemmeli, la condizione dell'infanzia era più complessa. Ascoltandolo, si capiva l'instancabile sollecitudine degli adulti per i piccoli, l'emozione degli uomini e delle donne di fronte a quella che alcuni sociologi hanno chiamato " l'invasione barbarica " che ogni anno sommerge la società attraverso le nuove nascite.

I bambini, infatti, stanno al margine del gruppo sociale. Hanno la loro vita a parte, i loro sentieri, il loro materiale, i loro greggi di coleotteri e di cavallette con le ali spezzate per precauzione. Conoscono il valore della festuca, del ciotole rotondo, dello stelo di nenufaro usato come flauto. Nudi, non hanno alcuna vergogna. Il pericolo li lascia indifferenti. Un'inezia li atterrisce. Manifestano una misteriosa inclinazione per la morte.

" Nulla in essi è fisso, " disse Ogotemmeli.

E spiegò che anche quella, come tutte le cose, risaliva all'origine della creazione.

" La regola perché tutto sia nel giusto, " disse il cieco, " sarebbe di essere due. La sorgente di tutti i disordini è la solitudine dello sciacallo, figlio primogenito di Dio. Non si può negare che lo sciacallo sia una cosa cattiva, perché la sua solitudine lo ha spinto verso sua madre. Per questo, per evitare la solitudine, ad ogni parto il Nommo chiede a Dio una nascita doppia. Ma la sua preghiera non viene sempre esaudita. Per questo egli ha dato due anime a ogni neonato. "

All'europeo, infatti, era sempre sembrato sorprendente che il nome dell'anima - per impiegare un termine della nomenclatura tradizionale - fosse composto dalla ripetizione di uno stesso vocabolo: kinndu-kinndu, che si dovrebbe tradurre: " anima-anima ".

" II Nommo crea per ogni essere due anime gemelle. "

Perché il Nommo assiste al parto che avviene nella seconda camera della grande casa, fra i quattro pali di sostegno. La donna sta seduta su una sedia bassa, o su un mortaio rovesciato; due matrone la aiutano. Il bambino viene alla luce sulla terra, che deve toccare con le sue quattro membra.

Perché il Nommo ha disegnato sulla terra il profilo di due anime, due sagome di forma umana. La prima è femmina, la seconda è maschio. E quando il neonato tocca il suolo, le due anime penetrano in lui.

" Egli è uno nel corpo, ma due nello spirito. "

Sull'origine di queste anime, sul serbatoio senza fondo o sempre rinnovantesi dal quale il Nommo attingeva per i suoi doni incessanti, Ogotemmeli non diede spiegazioni.

Il bambino viene dunque al mondo provvisto di due principi di sesso differente e, teoricamente, appartiene all'uno quanto all'altro; il sesso della sua persona è indifferenziato. Praticamente, con una anticipazione, la società gli riconosce subito il sesso che egli ha in apparenza. Tuttavia, l'androginia spirituale resta presente attraverso alcuni particolari del simbolismo.

Così la madre, dopo essersi sgravata, rimane chiusa in casa per quattro settimane (di cinque giorni). Esce poi nel villaggio col neonato sul dorso, e, per tre settimane, porta in mano una freccia se si tratta di un maschio, un coltello se si tratta di una femmina, apparentemente per proteggerli contro i pericoli visibili e invisibili.

Questi due periodi di 4 e di 3 settimane portano la cifra della donna e dell'uomo.

" Durante le prime quattro settimane, la donna che ha dato alla luce una femmina fila del cotone. "

Essa ricorda, in questo modo, il lavoro principale a cui è destinata la futura donna che ha appena messo al mondo. Se ha dato alla luce un maschio, essa fila ugualmente, ma meno; si tratta soltanto, in questo caso, di manifestare la solidarietà dell'uomo tessitore e della donna filatrice.

Il fuso femminile maneggiato nell'ombra della camera e la freccia maschile esibita nelle strade dalla madre di un maschio, convergono nella dimostrazione dell'origine celeste dell'umanità:

" Quando una bambina viene al mondo," disse Ogotemmeli, " la madre regge il suo fuso per ricordare che il granaio venuto dal ciclo era attaccato a un fuso confitto nella volta. Il filo che essa svolge è quello che si è dipanato durante la discesa. "

Quanto alla madre di un maschio, la freccia che essa porta in mano è quella che il fabbro brandiva per difendersi nella sua traversata spaziale.

Ma i due oggetti hanno lo stesso significato, perché le frecce del fabbro erano dei fusi muniti di punte. E quella che egli scoccò nel granaio divenne l'asse del quale l'intero edificio era l'enorme fusaiuolo.

I gesti e gli oggetti che accompagnano la nascita ricordano dunque la riorganizzazione del mondo; essi esprimono l'integrazione del neonato nel sistema rivelato dal fabbro e dal Nommo Settimo, manifestano la natura umana fatta per il lavoro.

" E quando la nascita è doppia? " chiese l'europeo.

A questa domanda immensa, conveniva una lunga risposta. Ogotemmeli la rimandò a un'altra occasione. Il culto fondamentale dei gemelli sarebbe stato discusso più tardi.

L'europeo apprese, tuttavia, che, al momento della nascita, ciascuno dei gemelli riceveva due anime e che si osservavano per essi le stesse abitudini che si seguivano per gli altri. Ma (particolare importante), se il periodo di clausura aveva la stessa durata, l'uscita " in armi " della madre era protratta a quattro settimane, il che significava otto settimane in tutto prima di riprendere la vita normale. Perché otto è la cifra della perfezione, come Ogotemmeli aveva già spiegato.

Munito delle sue due anime, il bambino segue la sua sorte. Ma i suoi primi anni sono caratterizzati dall'instabilità della sua persona. Finché conserva il prepuzio o la clitoride, supporti del sesso contrario a quello apparente, mascolinità e femminilità hanno la stessa forza. Non è giusto, perciò, paragonare il non circonciso a una donna; come la donna che non ha ancora subito l'escissione, egli è insieme maschio e femmina. Se questa indecisione in cui si trova quanto al suo sesso dovesse protrarsi, l'essere non avrebbe mai alcuna inclinazione alla procreazione. La clitoride della bambina è, infatti, un gemello simbolico, un surrogato maschile col quale essa non potrebbe riprodursi e che, anzi, le impedirebbe di unirsi a un uomo. Come Dio ha visto drizzarsi davanti a sé il membro della terra, cosi l'uomo che si unisse a una donna non escissa sarebbe " punto ", e l'opportunità della sua presenza contestata dalla clitoride che si pretenderebbe sua eguale.

D'altra parte, l'individuo non può condursi in modo normale sotto una doppia direzione. Bisogna che uno dei due principi prevalga sull'altro.

" II bambino non può fare nulla di serio, e nulla gli si può fare di serio finché non è stato circonciso. "

Egli non può ricevere la sua insegna, né celebrare un culto, né sopportare i rimedi che i guaritori danno contro le malattie, né utilizzare gli amuleti. Queste pratiche suppongono, infatti, un andirivieni di forze vitali troppo violente per un essere la cui anima non si è ancora "fissata".

Ma la dualità dell'individuo non è la sola causa della sua instabilità: poiché Dio l'ha plasmato con la gleba, l'uomo ha contratto verso la terra un debito che deve pagare col suo sangue. Deve sacrificare se stesso su colei da cui è nato:

" Lo spargimento del sangue della circoncisione, " disse il cieco, " si può paragonare all'offerta di una vittima sugli altari. Ed è la terra che viene a bere il sangue. "

Finché questo conto non è stato regolato, l'anima non può essere stabile, e l'individuo non ne è proprietario.

" Fin dalla nascita, il bambino è come allacciato alla terra da un vincolo detto 'filo di Dio', che parte dal prepuzio o dalla clitoride e penetra nel suolo. Questo legame si fissa nel momento in cui il neonato tocca la Terra, ed è fatto di sangue. Si sposta e penetra sempre nel suolo ai piedi di chi lo porta. Esso viene reciso con la circoncisione. "

" Chi è, dunque, la Terra? "

Ogotemmeli non rispose direttamente:

" Lo spargimento del sangue serve per rendere alla Terra quel che essa ha prestato. Ma non è soltanto la Terra che riceve quel che le è dovuto. Anche il Nommo viene a bere, e chiama il Lebé, che lo segue e viene anche a bere. Tuttavia il sacrificio non è destinato ad essi; è fatto per la Terra e per tutto ciò che è terra, cioè anche per la prima coppia plasmata da Dio. " o

" Ma il Nommo? E il Lebé? "

" II posto in cui stava il vecchio (cioè, la tomba del Lebé), la gleba con la quale Dio ha formato l'uomo, e il Lebé risuscitato sulla terra, queste tre cose sono, in realtà, una cosa sola. "

Ogotemmeli esponeva il principio dell'unità dell'universo. La tomba della resurrezione è gleba; l'uomo è gleba; il vecchio risuscitato era gleba e nella gleba egli fu vomitato e rigenerato.

Il risuscitatore, infine, morto anche lui e inumato sotto la fucina, risuscitò nella gleba.

" Ma perché ferire l'uomo nel suo sesso? "

" Perché il prepuzio e la clitoride sostengono l'anima che deve allontanarsi. E anche perché il feto comincia con il sesso. "

Nel grembo, l'essere è, in principio, un sesso al quale si aggiunge una testa. Il corpo si sviluppa più tardi. Il sesso è l'altare maestro della fondazione dell'uomo". Cosi Dio, per ogni essere, procede come al momento della prima creazione, e innalza " l'altare " dell'uomo come un fondatore innalza l'altare di fondazione del villaggio.

Ma non è solo il corpo che è fatto di terra. Alcuni dicono che Dio ha plasmato le anime come i corpi, e che l'anima viene disegnata sulla terra al momento della nascita.

Sembra anche che all'idea di debito vada congiunta l'idea di una forza nefasta che la persona riceve insieme alla sua condizione terrena. Di qui la necessità di sbarazzarsi, alla fine dell'infanzia, di questo elemento che viene restituito al suo luogo d'origine.

Alla base della circoncisione e dell'escissione vi sono dunque varie ragioni: necessità di liberare il bambino da una forza nefasta, necessità di pagare un debito di sangue e di assumere un sesso definitivo. A ciò bisogna aggiungere che l'uomo deve, per solidarietà, soffrire nel suo sesso come la donna.

L'operazione viene preparata fin dal momento della nascita, e, trattandosi di assicurare la fissazione dell'anima, ci si serve degli altari di famiglia per trattenerla nel bambino.

" La freccia che la madre di un maschio porta con sé, " disse Ogotemmeli, " l'ottava settimana dopo la nascita viene deposta sull'altare della famiglia. Il padre sgozza una vittima dicendo: 'Dio! accetta questo sangue e fai uscire la sorte da mio figlio. "

Da quel momento, le anime degli antenati, venute ad abbeverarsi all'altare, aiutano il bambino nel suo processo di assimilazione spirituale e gli comunicano una parte della loro forza, concentrata nel fegato della vittima che gli viene fatto assaggiare.

" La vigilia della circoncisione, si chiede ancora davanti all'altare la fissazione dell'anima. E nell'istante in cui il .prepuzio viene reciso, l'anima maschile si reca nell'altare. Essa vi resta per tutto il tempo del ritiro. Dopo la guarigione e il ritorno del bambino, si sgozza per lui un'altra vittima ed in lui. "

egli ne mangia il fegato. A questo punto, l'anima ritorna.

Cosi la circoncisione ha, come primo effetto, un'esplosione dello spirito: da una parte, il prepuzio reciso, sostegno dell'anima femminile, si trasforma invisibilmente nella lucertola detta " sole ". In questo modo il bambino viene liberato della sua femminilità. Dall'altra, la sua anima maschile, agendo come quella di una vittima, si allontana dal corpo e dimora nell'altare di famiglia. Durante il periodo del suo ritiro, egli è privato dei suoi principi spirituali, mentre quello, fra essi, che dovrà riprendere più tardi aspetta con i morti. Il circonciso stesso è come un morto.

" Quando il circonciso ritrova la sua anima nell'altare di famiglia, si è completamente liberato dell'anima femminile separatasi da lui sotto forma di lucertola? "

" No! " disse Ogotemmeli, " egli conserva ancora la sua ombra che è un'anima femminile ridotta che egli divide con la lucertola. Quest'ombra è sciocca, mentre l'altra anima è intelligente. " Anche in questo caso, il sistema speculativo dei Dogon appariva come una serie di azioni e di compensazioni giustapposte.

" La lucertola sole, " riprese Ogotemmeli, "simboleggia il prepuzio femminile che circonda il pene maschile. Ma la sua coda corta assomiglia al pene. Essa è rossa, e la lucertola fugge la luce perché non vuole essere paragonata al pene. "

Questa lucertola vive, infatti, sotto terra, e si mostra solo di rado.

" La lucertola è femmina, " disse Ogotemmeli, " ma il dietro del suo corpo assomiglia a un pene. È un prepuzio, ma è anche un pene scoperto. "

Circondato da questo elemento femminile che è " sole ", rosso e sferico come l'astro che è anche femmina, il pene finisce con l'essere guadagnato alla femminilità.

E questo simbolismo può essere inteso nel senso che il circoncisore, tagliando la carne, libera e mette allo scoperto il pene, cioè il sole femmina.

" Qual è il significato del sistro di zucca che i circoncisi portano durante il loro ritiro? "

II sistro è fatto di un bastoncino sul quale sono infilate delle rotelle di zucca, simbolo della femminilità, con il bordo dentato. I bambini le agitano per allontanare gli spiriti maligni e le donne.

" II bastone del sistro, " disse Ogotemmeli, " è il sesso liberato dal prepuzio. I dischi di zucca, in numero uguale a quello dei circoncisi, rappresentano i prepuzi della promozione. Il bambino agita il sistro con una mano; con l'altra, impugna un bastone ornato da una spirale di otto avvolgimenti incisa nella scorza. Il bastone è il genio dell'acqua, che guida i suoi passi; le volute rappresentano la spirale avvolta e svolta intorno al sole. "

Cosi il bambino tiene nelle sue mani la femminilità, l'acqua e la luce.