LE DONNE DI RAVENSBRUCK

Lidia Beccaria Rolfi è nata nel '25 a Mondovì, in pieno regime fascista.
Ragazza di estrazione contadina ultima di cinque fratelli, incominciò ad andare a scuola a sei anni, la prima cosa che imparò a scrivere fu "Duce ti amo", il suo primo disegno fu la bandiera e il fascio littorio.
A scuola le maestre erano molto ossequenti, tanto che il discorso del Duce del 5 maggio lo fecero imparare a memoria a tutti gli scolari. I suoi genitori volevano che lei studiasse, visto che era l'ultima della famiglia e a scuola riusciva, così frequentò l'istituto magistrale per diventare maestra.
Si diplomò e subito dopo ebbe la sua prima nomina come insegnante elementare: destinazione Torretta di Casteldelfino in Valle Varaita. Subito dopo, nell' albergo dell'Angelo di Sampeyre, incontra alcuni ebrei fuggiti da Saluzzo.
Nei quindici giorni seguenti conosce alcune persone che facevano parte della Resistenza. Incomincia a collaborare con loro e a montare bombe a mano che nasconderà sotto il letto. Ezio (un ebreo) le consiglia di andarsene, perché i tedeschi e i fascisti iniziano il rastrellamento a tappeto della valle. Tornata a casa quattro militi della GNR di stanza a Sampeyre la svegliano, perquisiscono la sua camera, poi la legano e la portano all'albergo dell' Angelo dove ha sede il Comando, cercando di interrogarla con minacce di morte, ma lei non ha paura.
Trasferita nelle carceri nuove di Torino, nel marzo del '44 vengono trasportate lei e altre detenute a Ravensbruck.
Lo scopo del campo, all'inizio, era quello di "rieducare" le antinaziste. Nei block, baracche di legno destinate ad abitazione per le prigioniere, i letti, le lenzuola, gli asciugamani erano tutti piegati uguali. Al mattino del risveglio tutte le deportate erano costrette a squadrare al millimetro i letti, senza ombra di piega, il pettine andava lavato tutti i giorni dopo l'uso e rimesso al suo identico posto nella stessa posizione; e sulle cose non si dovevano lasciare impronte. Se solo una di queste regole non veniva rispettata, venivano presi dei seri provvedimenti. Le punizioni andavano dagli schiaffi ai venticinque colpi di bastone sulla schiena. I lavori che venivano svolti erano spesso inutili e stupidi. Si lavorava anche alla Siemens per imparare a saldare.
Il giorno del 26 aprile 1945, verso sera, scoppia un incendio: le SS, ormai sconfitte dall'avvicinarsi degli alleati, vogliono distruggere le prove dei loro crimini.. Le kapo radunano tutte le deportate e s'incamminano, 9 lunghi giorni senza fermarsi. Lungo il cammino molte delle poche deportate morirono di freddo, di fame, ecc.....
Lidia e Pina; proseguendo il cammino, scorgono in lontananza degli uomini, con cautela si avvicinano e  sono accolte garbatamente da questi  che le portano in una cascina, dove mangiano a sazietà, dormono e hanno dei nuovi vestiti. Dopo alcuni giorni di festa partono per ritornare a casa, in tutto ci impiega 16 giorni.
Il 1 settembre 1945, arriva a casa di notte, ma non rientra anche perché è buio. Il mattino seguente si fa un giro intorno al paese e riconosce molta gente, poi riconosce la sua casa, nel cortile vede Rita, sua sorella, e poi suo padre; lei si ferma, loro la vedono e scoppiano in lacrime, entra in casa ..... non ha le forze per parlare, riesce appena a sorridere e a manifestare la sua gioia.

Tutta la vicenda si svolge dal 1925, cioè dall'anno in cui lei nasce, fino al '44, quando lei torna a casa. Ravensbruck è il luogo principale: sperduto, fitto, circondato da alberi secolari, deserto e inospitale.
Il libro in generale è molto semplice, non ho trovato molte difficoltà, si riesce a capire benissimo tutto ciò che l'autore vuol farci capire. Forse perché ci vuole fare capire tutte le sofferenze che hanno passato. Il libro per loro, è l'unico mezzo, oltre alle interviste, che hanno per farci capire ciò che è accaduto. Il libro mi è piaciuto, non mi ha annoiato anche perché a me questo genere di cose m'interessano molto.

Bianca Paganini Mori è nata a La Spezia l’1 febbraio 1922 da famiglia borghese di orientamento ideologico cattolico e antifascista, deportata in Germania per motivi politici con la madre, un fratello e la sorella, vive e lavora a La Spezia.
I ragazzi erano quasi tutti studenti universitari, finché non scoppiò la guerra e la madre per proteggerli li portò a San Benedetto. Una mattina mentre si alzavano videro file ininterrotte di carri armati e tedeschi diretti verso La Spezia. Bianca e Alfredo aiutarono alcuni militari e li guidarono verso la montagna.
Verso marzo, aprile arrivarono tre repubblichini e per cinque ore perquisirono la casa. Alle cinque del mattino andarono via con loro. Furono portate alle carceri di La Spezia, per venti giorni furono martellate di domande. L’8 settembre 1943 furono caricate su un camion e portate alle carceri di Marassi. Il 26 settembre furono di nuovo caricate su un pullman.
La mattina del 6 ottobre le caricarono su un carro bestiame, si fermarono a Dachau, fecero scendere gli uomini e ripresero il viaggio. Dopo cinque giorni e cinque notti arrivarono a Ravensbruck. Dopo essersi stabilite nel blocco 17, le deportate diventarono molto amiche e si aiutarono una con l’altra. Il 2 novembre furono trasferite al campo Siemens dove fabbricarono manometri e voltometri. La sorella, Bice soffriva di dissenteria e la madre di un terribile male al cuore, poco dopo morì.
Furono poi trasferite a Limburg e poi viaggiarono tanto fino ad arrivare a San Benedetto. La loro casa era distrutta, per pochi mesi si stabilirono da una loro zia a La Spezia. Bianca e Bice decisero di ricominciare un’altra vita. Si fecero prestare dei soldi dalla banca e rimisero a posto la casa. Ora Bianca è sposata ed ha due figli.
 Tutto ciò si svolge dal ‘44 in poi. Questa autrice è stata molto sintetica rispetto a Lidia, però mi è piaciuta ugualmente.

Livia Borsi è nata a Genova Sampierdarena il 27 luglio 1902 da famiglia proletaria e socialista, deportata in Germania con il marito per motivi politici, vive a Genova.
Suo padre si sposò, nel 1897 nacque una bambina: Irma, poi ne nacque un’altra, solo che morì ad appena quattro anni. Nel 1902 nacque Livia, infine la madre rimase incinta di una bambina, ma morì di tifo insieme al bimbo. In seguito Livia si sposò e nel ‘28 mise al mondo Ernesto, nel ‘30 Adele e poi nel ‘32 Gemma. In seguito fu catturata insieme ad altre italiane e trasportata a Ravensbruck dove incontrò Bianca e Bice Pagamini. Nel campo rimase poco più di un mese, arrivò il giorno della partenza, era fine luglio(fece il viaggio con Bianca e Bice) e arrivò a casa il 30 luglio.
L’avvisarono che Adele era morta durante un bombardamento( ‘45 ) con suo padre( di Livia ).
Il marito morì in Germania e visse in altri due campi ( tifo petecchiale ) e rivide i suoi bambini: Ernesto e Gemma.
 Questo racconto è stato il più triste, è bruttissimo perdere una figlia, una madre e la persona che ami di più: tuo marito. Questa storia è stata commovente, ma allo stesso tempo mi ha fatto pena per la povera Livia.

Lina Baroncini vedova Roveri (nata a Bologna il 20 luglio 1923) e Nella Baroncini vedova Poli ( nata a Bologna il 26 agosto 1925), sorelle, di matrice proletaria e socialista, deportate in Germania insieme a tutta la famiglia per motivi politici, vivevano e lavoravano entrambe come impiegate, a Bologna. Nella incominciò a frequentare una scuola che si chiamava avviamento commerciale, Lina le Magistrali inferiori.
La mattina del 24 febbraio perquisirono la loro casa e trovarono un pacco di manifestini. Le caricarono su camion aperti. Arrivarono a Ravensbruck il 6, per prima cosa fecero una doccia e una visita, poi si sistemarono nelle baracche. Rimasero lì fino al 30 aprile.
Rientrarono in Italia il 13 ottobre con un vagone ospedale. Nella si sposò nel ‘53. Lina sposò Roveri nel ‘48 e nel ‘49 nacque Eligio. Nel ‘50 ricoverarono il marito e nel ‘52 morì.
La storia si svolge nei principali luoghi: Ravensbruck, Berlino, Fossoli, Furstenberg. Essendo due autrici insieme che raccontano questa storia, dovrebbe essere un libro difficile, al contrario è stato facile da capire e mi è piaciuto molto.