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la pagina delle recensioni dei lettori

Pubblichiamo in questa pagina le recensioni di libri che i lettori ci inviano attraverso l'apposito form

John Marsden, Ho così tanto da dirti  2007, Mondadori junior, 2007, Milano,  pp.152, costo 8 Euro

Recensione di Barbara Mancini

Il libro di John Marsden è basato su una storia vera: è un diario che scrive Marina, una ragazza di 14 anni, dal volto segnato a causa di un incidente con un acido avvenuto per colpa del padre. Da quel momento ha smesso di parlare con chiunque: allora era stata mandata in ospedale, ma anche li non c'era stato nulla da fare. Decidono quindi di farle frequentare un college, la Warrington Boarding School, sperando che almeno qui riacquisti la parola. Ma anche lì il suo silenzio continua. Il suo insegnante di inglese, Mr Lindell, dà alla sua classe un diario sul quale annotare tutto ciò che accade all'interno dell'istituto: quello che succede in classe, ma anche quello che accade con le compagne. Insomma, un diario sul quale scrivere proprio tutto. Inizialmente la timidissima Marina è riluttante a scrivere, raccontare ed esprimere tutte le sue vicende, le sue emozioni, le sue paure all'interno del diario: teme che i suoi professori, ma specialmente le compagne di stanza, alcune amiche alcune nemiche, possano leggerlo. Ma alla fine si convince e comincia a raccontare tutto quello che succede, tutti i suoi piccoli progressi e le sue grandi “sconfitte”, presenta così il suo mondo, un mondo diverso dal comune, un mondo dove è molto difficile vivere e andare d'accordo con le compagne di stanza, alcune ostili nei suoi confronti. Durante la sua permanenza all'interno della scuola, si mantiene in contatto con la madre tramite lettera. Lei, separata dal padre ha intrecciato una relazione con un nuovo fidanzato, che non fa altro che dirle che deve assolutamente dimenticarsi del padre. Marina però non vuole, desidera tanto rivederlo e il grandissimo amore che prova nei suoi confronti la porta a dimenticare tutto l'accaduto. Fortunatamente alla fine, l'amore ha la meglio e Marina rivede il padre, ma, cosa più importante, gli parla: dopo moltissimi anni apre la bocca e parla, dicendo quelle parole che daranno poi il titolo al libro: “Papà...ho così tanto da dirti...”

E' un libro veramente fantastico: l'autore sottolinea in modo molto profondo il bellissimo rapporto tra la ragazzina ed il suo papà. L'amore domina, facendo riavvicinare i due e facendo dimenticare il passato ad entrambi. Il linguaggio usato è semplice e i passaggi del libro che preferisco sono quelli in cui Marina comincia ad avere i primi rapporti con le compagne: alcune cominciano a mostrarsi gentili nei suoi confronti, nonostante lei non risponda a nessuna loro proposta o segnale di amicizia, limitandosi soltanto a mostrarsi fredda e incurante. Ma in realtà, tutte le reazioni che vorrebbe avere con quelle ragazze, le racconta al suo diario, al suo unico, vero amico. Ed è proprio grazie a questa sua “valvola di sfogo”, che Marina riuscirà, in un secondo momento, ad avere punti di contatto con quelle ragazze. Consiglio la lettura di questo libro a tutte le persone che credono che l'amore può fare qualsiasi cosa e che con l'aiuto di amiche si possono risolvere anche grandissimi problemi.

Deborah Ellis, La trilogia del Burqa, 2005, ed. Rizzoli, Milano,  pp.510, costo 15 Euro

Recensione di Marta Martinelli

Nel libro è narrata la vita di due ragazzine, Parvana e Shanzia, che vivono in Afghanistan e sono coinvolte nella guerra dei talebani, che hanno invaso il loro paese seminando panico e terrore. Ognuna di loro affronterà varie prove e situazioni per ritrovare la loro famiglia e la felicità. E’ un libro molto bello e commovente. Ha suscitato in me tristezza, dolore, compassione, odio e stupore, sentimenti vari e disparati, perché sono stata costretta a calarmi nella quotidianità della guerra. Mi ha fatto capire che vivere è un’opportunità unica e bisogna preservarla sempre, nel bene e nel male.
Parvana e Shanzia, infatti, nonostante le bombe, i maltrattamenti e la morte non perdono la speranza, vanno avanti anche se con qualche paura.
L’amicizia delle due ragazze supera il problema della guerra, infatti costoro si cambiano lettere e ripensano in ogni istante alla loro promessa di “ ritrovarsi a Parigi una volta scappate dall’Afghanistan”.
Leggere questo libro vuol dire capire e vivere fino in  fondo la guerra; cosa significa vedere ogni giorno molte case crollare, abbandonare parenti e vederli morire, non avere certezze, libertà di pensiero…
E’ normale che due ragazzine debbano “vivere” in questo modo? Che non possano uscire di casa? No, io credo proprio di no. Nella nostra vita ci sono cose che diamo per scontate: un pasto, un saluto, un libro, un paio di Jeans, ascoltare un programma radiofonico…ma non sospettiamo che potremmo esserne privati da un momento all’altro.
Sono stata molto colpita da come l’autrice ha descritto la situazione e la devastazione che hanno colpito l’Afghanistan. Mi hanno colpito particolarmente due frasi: “In tutta Kabul c’erano edifici distrutti dalle bombe. I quartieri si erano trasformati da case ed uffici in mattoni polverosi. Kabul era stata una bella città, un tempo, con marciapiedi, semafori che cambiavano colore, le passeggiate serali verso i ristiranti, i cinema, era difficile immaginarla diversa. Faceva amale ascoltare i racconti della vecchia Kabul, quella di prima dei bombardamenti”.
“ Lei non voleva pensare a tutto quello che le bombe avevano spazzato via, compresa la salute del padre e la loro bella casa. La faceva arrabbiare, e dal momento che non poteva fare nulla della sua rabbia, la rendeva triste”. In queste righe sono descritte la distruzione della città e si parla della nostalgia e tristezza che provano i cittadini per le occasioni perdute.
Parvana è dolce, sensibile e molto forte, perché accetta tutto quello che le accade.
Io personalmente mi rispecchio in Shanzia, che è ribelle, permalosa, impulsiva e sognatrice.
Il lessico è semplice ed i pensieri sono molto profondi ed intensi. Scopo dell’autrice è far riflettere su quello che sta accedendo nella nostra epoca e far conoscere una realtà di cui non immaginiamo l’esistenza.
Oltre a questo lo scopo è lanciare un messaggio di speranza a tutte quelle persone che conoscono e vivono queste esperienze a non mollare, ad andare avanti.

Consiglio a tutti la lettura di questo libro perché ci fa capire ciò che vivono le persone innocenti coinvolte nella guerra .

Tahar Ben Jelloun, Il razzismo spiegato a mia figlia, 1998, Bompiani, pp.62, costo 5,11 Euro

Recensione di Giovanni Gandossi

La lotta contro il razzismo comincia con un lavoro sul linguaggio. Purtroppo la società odierna è condizionata dai luoghi comuni e noi dobbiamo fare qualcosa per demolire questa barriera linguistica che si pone fra noi e gli speranzosi immigrati.. Il razzismo, secondo me, è uno tra i problemi più importanti di oggi. T. B. Jelloun dice che “il razzista è uno che, con il pretesto di non avere lo stesso colore della pelle, né la stessa lingua, né la stessa cultura, crede di essere superiore rispetto a coloro che sono diversi “. La causa al razzismo è anche di quelle persone che educano il propri figli all’intolleranza ed alla discriminazione. Poi questi figli trasmetteranno ai propri figli le medesime idee e, via via, questa “malattia” del pensiero si diffonderà tra la gente con una mente debole o incapace di affermare le proprie idee. Ciò comporta la discriminazione tra i popoli, che è causa di ingiustizie, come lo fu il genocidio degli ebrei, la strage degli armeni da parte dei turchi e, in alcuni casi, di guerre ( le Crociate, la guerra dei Trent’anni, etc…).
Queste idee razziste impediranno inoltre alle popolazioni di mescolarsi e di dare vita ad una società cosmopolita, nella quale ognuno ha i suoi diritti e non viene discriminato per il colore della pelle. Questo, un giorno, potrebbe succedere se si superasse il muro del razzismo.
Secondo me, molti sarebbero i modi per sconfiggere il razzismo. Innanzitutto si potrebbe educare fin dalla giovane età ogni persona, in modo da convertire anche coloro che, invece, sostengono le idee del padre razzista. Un altro modo sarebbe eliminare alcune parole equivoche dal nostro vocabolario, e alcune idee preconcette. Infine il modo, secondo me, migliore per superare il razzismo è viaggiare. Non tutti possono farlo, ma coloro che ne hanno la possibilità la devono cogliere al volo.
Viaggiando si allargano le idee, i nostri orizzonti e si possono studiare e capire le altre culture differenti da quella occidentale. Solo apportando queste piccole e grandi modifiche alla nostra vita quotidiana possiamo renderci conto che siamo tutti cittadini di questo mondo, con pari diritti e possibilità. Quando avremo capito ciò, realizzeremo il grande obiettivo che le più importanti religioni si sono prefissate. Tutti saranno uguali davanti alla legge come davanti a Dio.

Recensione di Luca Presti

Il razzismo spiegato a mia figlia è una breve dialogo tra Ben Jelloun  e sua figlia. In questo libro lo scrittore ci fa capire con parole semplici e chiare l’ingiustizia del razzismo.
Egli vuole cancellare dalle nostre giovani menti i pregiudizi e le paure che ci portano al razzismo. In alcune pagine l’autore propone esempi concreti e storici per spiegarci l’ingiustizia del razzismo. Egli si rivolge alla scienza e alla ragione per annullare i pregiudizi. Infatti, grazie alla scienza afferma che non si può parlare di razze umane perché esiste solo una specie umana, che non può essere articolata in razze sulla base del colore della pelle.
Lo scrittore parla di etnie che si differenziano per aspetti fisici come il colore della pelle, la storia e la religione.
Questi elementi insieme creano le diverse nazionalità. Lo scrittore invita ad apprezzare tutte le differenze che ci arricchiscono.
Ci insegna che l’ignoranza e la paura provocano il rifiuto. Lo scrittore, ancora, ci invita al rispetto, alla tolleranza, al dialogo; solo con questi valori le nuove generazioni possono sconfiggere il razzismo.

Questo libro mi è piaciuto perché contiene valori in cui credo: gli uomini devono essere rispettati in qualsiasi situazione si trovino, ricchi, poveri, bianchi o neri. Ho trovato molto interessante l’approfondimento scientifico perché ho capito che le teorie razziste sono basate sull’ignoranza e non hanno alcun fondamento.               

Recensione di Barbara Mancini

“Il razzismo è nell’uomo, è meglio saperlo ed imparare a respingerlo”, con questa frase T.B.Jelloun intende che ogni persona può essere razzista e deve essere consapevole di poterlo essere.
Il razzismo, dice l’autore, è una sorta di paura, una paura nei confronti di una persona che è diversa. Tutti possono avere paura, è una cosa naturale: paura del confronto, paura di interagire, paura di relazionarsi con gli altri in quanto diversi nel modo di pensare, diversi nelle proprie origini, diversi nella cultura.
La paura è comprensibile, ma una persona matura e intelligente deve saperla superare, soprattutto la paura non deve trasformarsi in cattiveria o addirittura odio.
Perché è proprio questo che genera il razzismo. Spesso una persona diventa razzista in quanto è debole di carattere, non riesce ad “annientare” la paura e la trasforma in odio. Purtroppo di questi tempi le persone che compiono questa “trasformazione” sono davvero tante. Spesso il razzista  vuole semplicemente non avere alcun contatto con una persona di diversa cultura, provenienza e religione, ma la domanda è una sola: perché? Perché il razzista è così ostile nei confronti di una persona diversa? La risposta logica è ancora una sola: ha paura. Ma proviamo a ribaltare la situazione: anche lo straniero, in questo caso immigrato, può essere razzista. Può avere, cioè, paura di un mondo nuovo, di nuove persone che spesso possono essere nuovi “nemici”. Anche in questo caso se è una persona matura supera le sue paure. In caso contrario, “scatta” l’odio, con conseguente razzismo. A questo punto, secondo me, l’unico modo per superare l’avversione è “venirsi in contro”: entrambi hanno paura della diversità? Deve essere proprio la loro paura ad avvicinarli ancora di più. E’ così che dev’essere la società ideale. Una società dove, se l’unico fattore comune è la paura, bisogna saperla sfruttare come mezzo per unirsi. Ma nella società ideale non deve nemmeno esistere la paura. Tutti dovrebbero essere in grado di dire:”Quella persona è diversa da me? Nessun problema! Posso scoprire cose nuove!” Nella società ideale le persone devono essere abbastanza mature da capire che il contatto con una persona diversa  è un bene, si possono scoprire cose nuove sulle diverse popolazioni, sulle diverse religioni, si possono assaggiare nuovi cibi. Ma la cosa più bella è anche che si possono trovare nuovi amici con cui ci si può confrontare, nuovi amici che ci possono insegnare cose nuove e ci possono mostrare una faccenda da un punto diverso dal nostro. Purtroppo adesso la società ideale non esiste, ma bisogna “lottare con se stessi”, impegnandoci per fare in modo che magari, in un futuro non tanto prossimo, questo sogno di società ideale possa diventare realtà.

Joanne Kathleen Rowling, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban,
Salani, Milano 2000, pp.366, costo 18,50 Euro

Recensione di Alessia Di Gesù

E’ la terza serie di una saga spettacolare piena di colpi di scena e della grande amicizia e discordia che si crea tra i ragazzi. In questo libro Harry scopre l’infanzia di suo padre, che era simile alla sua situazione nella scuola. Harry scopre che suo padre era simile a lui perché si era sacrificato (infrangendo le regole) insieme ad i suoi amici per non far sentire a disagio un proprio amico; e scoprì che Silente è sempre stato un grand uomo ed ha sempre percepito i sentimenti di tutti e si è sempre sacrificato per gli altri per farli sentire al proprio agio. Una volta, quando Lupin era studente lo ha accettato anche se era un Animagus, anzi gli ha anche costruito un posto sicuro dove si poteva tranquillamente trasformare senza far del male a nessuno, e tuttora lo stava difendendo convincendo gli altri professori che era una persona affidabile anche se era un Animagus. E che grazie al professor Piton sarebbe riuscito a controllarsi. E’ bello da leggere perché in parte è costituito dalla magia, ma si proietta anche nella realtà descrivendo l’amicizia, il dolore, le antipatie, le ostilità, gli ostacoli della vita ecc. Quest’anno Harry si lega particolarmente al professor Lupin il nuovo insegnante di difesa contro le arti oscure,(che era anche amico di suo padre); ma l’amicizie più forte è quella che lega Harry, Ron ed Hermione i quali affrontano qualsiasi difficoltà aiutandosi a vicenda; anche se nella loro individualità sono persone molto diverse: Harry è un grande mago, Ron non è una cima nella magia e nemmeno nello studio, mentre Hermione è l’opposto di Ron perché lei adora studiare, sin al punto che quest’anno volendo frequentare più materie contemporaneamente, si fa dare dalla professoressa McGranitt un gira tempo in modo da riuscire a studiare tutto. La loro amicizia è molto forte anche se quest’anno ad ostacolarla sarà un semplice topo(quello di Ron Crosta) ed un gatto (quello di Hermione Grattastinchi). Il dolore più forte era quello che provava Hermione, perché era stata esclusa da Ron e da Harry a causa di questi animali; ed anche quello di Harry scoprendo che Sirius Black l’assassino della storia, era un amico dei suoi genitori, il quale li aveva venduti al Signore Oscuro. Le antipatie sono sempre quelle con Malfoy e la sua band, che in questo libro saranno più accentuate a causa della condanna a morte di Fierobecco(l’ippogrifo di Hagrid)che Malfoy gli aveva assegnato per una piccola ferita infertagli. L’ostilità più forte rimane sempre contro il professor Piton, ma che quest’anno saranno anche dedicate all’inizio a Sirius Black, ed infine a Peter Minus. Buona lettura!

Stephenie Meyer, Twilight (crepuscolo), Fazi editori, Roma, 2007, pp.412,  costo 9.90 Euro

Recensione di Chiara Cristinelli

Il romanzo parla di una storia d’amore tra due “ragazzi”; metto ragazzi tra le virgolette perché la ragazza Isabella o Bella, è umana, invece il ragazzo è un vampiro, e si chiama Edward.
La storia si sviluppa a Fonks e, in alcuni capitoli, a Phoenix nel 2005, cioè recentemente.
Questa storia d’amore inizia con un amicizia un po’ troppo stretta e, perciò, si trasforma in un amore complicato.
La storia si sviluppa in modo molto veloce in quanto ci sono molte scene in un solo capitolo, tanto che Bella è sempre in pericolo.
Ma dopo un amicizia affiatata Edward decide di svelarle che lui è un vampiro.
E da li parte tutta la storia che seguirà poi in altri tre capitolo.
Altri personaggi sono, il padre di bella: Charlie; il padre di Edward, Carlise e la sua famiglia I Cullen e Jacob, un vecchio amico di Bella licantropo (lupo mannaro) con suo padre Bill, anch’esso licantropo e vecchio amico del padre di Bella.
In questo libro vi sono molti episodi e, secondo me sono tutti significativi, ma uno in particolare, centrale nello  sviluppo della storia,è cioè quando Edward (il vampiro) dice a Bella che è di fatto un vampiro.
La ragazza inizia a interrogarlo, ricoprendogli una sorta di “terzo grado” ogni giorno, e lui risponde con tutta sincerità anche se non dovrebbe; il giorno dopo infatti la famiglia di lui è divisa tra quelli che sono favorevoli a essere dalla sua parte, cioè che concordano che un’umana sappia il loro segreto, e chi non è favorevole.
Un altro episodio che mi ha colpito è quando Edward porta Bella a casa sua dove i componenti sono tutti vampiri e lei è preoccupata non perché sono vampiri, ma perché vuole piacere alla sua famiglia.
I personaggi principali sono Isabella Swan ed Edward Cullen.
Isabella è una ragazza timida ed impacciata, ha un colorito pallido ed odia la pioggia, ma il posto in cui abita non la rallegra affatto perché è uno dei più piovosi in America.
Edward  è proprio il contrario di lei, perché essendo un vampiro è bello ed aggraziato, e affascinante e silenzioso, e può leggere nei pensieri di tutta la gente tranne, non si sa il perché, quelli di Bella.
Con Bella, Edward è molto dolce e sincero, ma quando un ragazzo le si avvicina prova una gelosia molto forte per essa.
Lo stile del libro è semplice e scorrevole, i
periodi facili e non troppo lunghi, pieni di dettagli che interessano il lettore perché danno spessore di ritratto dei personaggi ed arricchiscono lo sviluppo della storia, ritmo veloce e descrizioni dei personaggi ricchi ma le mette man mano si procede nella storia.
Il libro è scritto in prima persona cioè si vede tutto dagli occhi  e dalle opinioni di Bella ed è una serie composta da quattro libri: Twilight, New Moon, Eclipse, e Breaking.
L’autrice si vuole far leggere una storia per i giovani, ma soprattutto per le lettrici perché parla di un amore e di un principe azzurro proprio speciale.
Infatti chi legge questo libro viene attratto dalle descrizioni degli occhi, degli sguardi di Edward che si innamora subito del personaggio.
Personalmente penso che sia un bellissimo libro e lo consiglio ad una fascia giovanile e femminile, in quando, come ho già detto, l’autrice vuole farci vedere il mondo delle ragazze.
Io mi sono immedesimata nel personaggio femminile in quando abbiamo molti aspetti in comune, tranne la storia di amore con un ragazzo affascinante.
Del protagonista maschile si può solo fare un paragone per far capire alle persone come viene rappresentato:lui è più coraggioso di Harry Potter (il maghetto della Rowing) e più affascinante di Step (di Federico Moccia).
Vorrei aggiungere che è un libro fantastico, romantico, avventuroso e anche pauroso in alcuni punti e lo consiglio a delle lettrici che amano le storie intricate, piene di mistero e romantiche come me.

John Lekich, Il club dei perdenti, 2007, Ed. Mondatori ragazzi, Milano, pp.275, costo 7 Euro

Recensione di Sara Alebardi

Questo libro parla delle condizioni dei “perdenti”, la cui vita scolastica è piena di pericoli e tormenti: chi sfila loro denaro, chi li assale a tradimento, chi li rinchiude  nell’armadietto…
Alex Sherwood, l’antieroe protagonista, sa benissimo di chi è opera tutto ciò, di Jerry e dei “suoi ragazzi”. Alex è un ragazzo invalido, che si muove con l’aiuto di stampelle. E’ proprio per questo che Jerry lo risparmia dei suoi atti di bullismo; ma è sempre per questo che l’unico desiderio di Alex è quello di vivere come uno studente normale, in mezzo ad altri studenti normali, senza acme, apparecchi od altri risibili difetti.
Ma il destino riserva altri progetti per Alex: col tempo tutti i “perdenti” lo seguono e lo considerano il loro protettore, grazie al fatto che Jerry non lo fa oggetto di prepotenze, tranne a volta deriderlo.
Alex li aiuta, presta loro denaro,… Nasce così il club dei perdenti, di cui lui sarà il presidente, e dove si metteranno in comune tra i suoi membri avventure e disavventure.
Ad un certo punto della storia la situazione si farà difficile anche per Alex, perché dovrà mettere alla prova la libertà d’esistenza del club dei perdenti, accettando una sfida con Jerry. Chi avrà la meglio tra Jerry ed Alex? Chi aiuterà Alex nella sua impresa?
Questa è la trama di un libro avvincente, che parla di fatti reali attraverso episodi divertenti ma significativi. Da questa storia emergono i valori della collaborazione e l’importanza di avere amici che ti sostengono a non arrendersi. L’autore “esagera” nel creare una situazione al limite dell’eccesso, allo scopo di mostrare a cosa può portare il bullismo, e mostra coma alla fine sia proprio l’unione a fare la forza, per respingerlo.
Il linguaggio usato è semplice e facilmente fruibile, con il ricorso al linguaggio giovanile; i periodi non sono complessi e la storia segue un buon ritmo: non scorre velocemente, ma si sofferma su particolari determinanti.
Questo libro mi è piaciuto perché parla della realtà del bullismo, degli atti di prepotenza verso i più “deboli”, e l’autore trova soluzioni divertenti per combatterla.

Patrick Suskind, Storia del signor Sommer, 1999, Salani editore,Bergamo, pp.131, costo 6,71 Euro

Recensione di Bracchi Tennis

Il libro ”Storia del signore Sommer” è un libro che viene raccontato non dal signore Sommer, cosa che si potrebbe pensare dal titolo, ma da un ragazzino che narra la sua vita dall’età in cui era alto poco più di un metro e portava il ventotto  di scarpe fino a quando ebbe compiuto diciassette anni, con un’ altezza di un metro e settanta, un peso di quarantanove chili e con il quarantuno di scarpe. Questo ragazzino ci racconta che esso era in grado di volare, ma di volare veramente, l’unica cosa che però lo preoccupava era poi dove atterrare, in un prato? Sul tetto di una casa? Oppure su di un albero? Possiamo quindi dire che l’atterraggio non era il suo forte, ma parliamo di alberi. Passava intere ore sugli alberi, e si arrampicava con una splendida agilità. Da là sopra esso osservava il paesaggio circostante, studiava i vocaboli inglesi, latini, le leggi fisiche, le formule matematiche, faceva i compiti e spiava continuamente le lunghe interminabili, inspiegabili passeggiate del signor Sommer, il suo vicino di casa. Ma perché Sommer camminava sempre? La risposta è stata data dal padre del ragazzino il quale diceva “Il signor Sommer sofre di claustrofobia, cioè la malattia in cui non si può stare al chiuso in casa”. Intanto il tempo passava e per la gente Sommer era diventato parte del paesaggio, non ci si faceva più caso;  e anche per il nostro protagonista esso appariva una cosa naturale, data per scontata, incontrarlo per strada. Il libro si conclude con un drammatico finale ”il suicidio di Sommer”, chi sa perché l’avrà fatto? Forse per la morte di sua moglie? Forse perché era stato dimenticato ed inserito nel paesaggio come un normale cespuglio dove non si fa caso che c’è? Forse perché soffriva troppo di claustrofobia? Forse perché l’ Europa era diventata troppo piccola per lo spazio esigente alle sue lunghe marce? Forse Sommer è la metafora dell’ uomo in generale, che non vuole arrendersi alle banalità della propria vita, che cerca di sfuggire alla morte? Ma invano! Forse perché…………………
Questo libro è facile da leggere, ha un lessico medio-facile e l’intenzione comunicativa che l’autore si prefigge è di mostrarci le cose viste dagli occhi di un bambino, quindi in modo diverso da come le vedono gli adulti. Inoltre consiglio ”personalmente” la lettura di questo libro perché è molto bello sia dal punto di vista dell’ impaginazione con i simpatici disegni, sia per il contenuto che ci fa trovare dentro di noi le paure, le simpatie e i divertimenti della gioventù!

Jerry Spinelli, Stargirl, 2004, Ed.Mondadori Ragazzi, pp.170, costo 7,80 Euro

Recensione di Maria Grazia Shkurti

La protagonista di questo romanzo, una ragazza di nome Stargirl, è molto strana: si veste in modo stravagante, se ne va in giro con un topo in tasca, un Ukulele a tracolla (uno strumento musicale a quattro corde, di origine awayano, che significa alla lettera “pulce saltellante” per la velocità con cui viene suonato), piange ai funerali degli sconosciuti e sa a memoria i compleanni dell’intera cittadinanza.
Quando, un giorno, comincia a frequentare una nuova scuola, dove tutti i ragazzi si vestono allo stesso modo e fanno le stesse cose, la sua apparizione suscita molto scalpore e all’inizio viene emarginata. Viene ritenuta da tutti come un’aliena, un’infiltrata o un’imbrogliona, che agisce solo per attirare l’attenzione.
Ma non è così.
Stargirl è veramente quello che sembra, non finge affatto e non ha paura di mostrare quello che è. Dovrebbe, per questo, essere un esempio, perché lei non teme le opinioni degli altri.
Piano, piano comincia però a divenire popolare nella scuola, e ad essere ammirata per la sua allegria, la sua disponibilità ad aiutare chiunque, finché un ragazzo si innamora di lei, nonostante le sue “stranezze”.
Un episodio significativo del libro è certamente la scena dove Stargirl, derisa da tutti, non se ne cura e ribadisce di non voler cambiare la sua natura per divenire come gli altri. In un altro episodio interessante, più avanti, una notte Stargirl va insieme a Leo, il ragazzo di cui si era innamorata, nel deserto e qui gli mostra un luogo appartato dove lei va abitualmente a “meditare” ed a pensare. Gli racconta che qui, a volte, si sente infelice per la sua diversità, ma è pur consapevole che non bisogna perdersi d’animo e continuare ad esprimere liberamente la propria personalità.
Al giorno d’oggi è molto difficile trovare adolescenti come Stargirl, perché ormai tutti tendono ad “adeguarsi” per non essere diversi, allo scopo di essere accettati. Tutti hanno paura di esprimersi veramente e di far uscire la propria personalità, per paura di essere scherniti e rifiutati.
L’autore vuole comunicare un messaggio molto importante, che tutti dovrebbero seguire. Quello di essere sempre se stessi e di non aver paura del giudizio degli altri. Io consiglierei questa lettura a tutti perché insegna come al giorno d’oggi essere diversi sia effettivamente un problema.

Nuccia Resegotti, Il libro degli incantesimi, 2007, ed. La Scuola, Pagine: 174, Prezzo: euro 10,00

Recensione di Davide Anastasi

Il romanzo narra la vicenda del ritrovamento di un libro da parte di due ragazzi, Stefano e Chiara. Non si tratta di un libro qualsiasi, infatti esso include tutte le magie e chi lo possiede può cercarvi la formula per ben tirarsene da situazioni spiacevoli. I due ragazzi rintracciano questo libro in biblioteca quasi per caso, scambiandolo per un romanzo di agevole lettura. Il loro scopo iniziale era, infatti, quello di prendere a prestito un testo striminzito e poco impegnativo. Scopriranno invece di avere tra le mani uno scritto straordinario, capace di cambiare la trama a loro piacimento.
Nel corso della storia, così, il potere del libro verrà usato per azioni di bene, oltre che per evitare ai due protagonisti gli intenti aggressivi di due bulletti della scuola, denominati i “2 F”…
Ho trovato significativo il fatto che in una storia di magia sia finita una storia, ben più verosimile, di bullismo. Infatti si tratta di una realtà ben presente, che si può incontrare anche, ad esempio, partecipando ad una gita scolastica. Altre occasioni di riflessione il libro non ne offre, perché i due ragazzi tentano poi di sfruttare il potere magico del libro per soddisfare le proprie comodità.
Stefano è un ragazzo comune, anche se preso di mira dai due bulli della scuola. Ha un carattere riservato e non ha tanti amici, nella storia. In effetti la sua unica amica è Chiara, e con lei si stabilirà un legame speciale.
Il testo è scorrevole alla lettura, anche perché scritto a caratteri grandi e dotato di un vocabolario dei termini difficili.
L’intenzione dell’autore? Forse cercare d’interessare i ragazzi ad un tema, il bullismo, che può capitare di coinvolgerli in prima persona.
Lo consiglio, dunque, specialmente a chi, come me, non ama particolarmente la lettura.

Bianca Pitzorno, Speciale Violante, ovvero l’orfana di Merignac, Ed. Mondatori Ragazzi, 1989 Milano, 190 pp. 9,60 euro

Recensione di Elisa Massussi

E’ arrivata l’estate e finalmente Barbara, Vittoria e Valentina possono ritrovarsi a Dorgo, un paesino di montagna dove quasi tutta la popolazione di Alaria trascorre le vacanze.
Questo “appuntamento” è un’occasione per le tre inseparabili di scambiarsi confidenze su problemi di famiglia, sui primi amori…
Con grande stupore questa volta, però, la vacanza estiva riserverà una sorpresa: arriva in paese una troup televisiva per girare una telenovela destinata ad una larga diffusione: L’Orfana di Merignac, la cui protagonista ( Violante, nel film) sarà una famosissima ed affascinante quindicenne, Scintilla Fux.
Gli occhi di tutto il paese sono puntati su di lei; tutti, dai ragazzini alle vecchiette di Dorgo, appassionate telespettatrici del genere, desiderano conoscere di persona la star.
Barbara, Vittoria e Valentina, per tornare alle nostre eroine, riusciranno ad allacciare un rapporto di confidenza con lei, ma ne rimarranno deluse: Scintilla si rivela essere solo una ragazza arrogante e piena di sé; porterà via a loro divertimento e persino l’attenzione di un  ragazzo!
Le tre fanciulle, pur essendo molto carine, non possono competere in bellezza con l’aura che accompagna l’attrice. Valentina, la più avvenente delle tre, ha occhi dal taglio  orientale, sul volto si notano graziose spruzzatine di lentiggini e le sue gambe sono lunghe e slanciate; per questo apare agli occhi dei ragazzi come la più  grande ( valore aggiunto!).
Vittoria e Barbara si contendono la palma per il secondo posto: Vittoria, piccola e minuta, pare un elfo; ha occhi scuri, capelli neri e lisci, la pelle ambrata e labbra gonfie, infantili (?).
Barbara, in realtà non sembra avere niente di speciale con i suoi capelli  castani ondulati ed il naso dritto e severo; in lei però risalta la bellezza interiore; è creativa, sensibile, generosa…
 Le tre ragazze riusciranno nel corso della storia, a togliersi di torno quell’opportunista; sono infatti ragazzine intelligenti, simpatiche, spiritose, leali tra loro. Li unisce un legame profondo, tanto che, come li chiamava il padre di Valentina, formano una “monade trilobata”, inattaccabile da qualsiasi parte.
L’autrice si propone certamente l’obiettivo, tra gli altri, di demolire il mito dei personaggi famosi, facendoci capire che l’immagine che ci siamo costruiti di loro molte volte non corrisponde alla realtà.
Il linguaggio utilizzato è semplice e scorrevole, con largo spazio destinato alle descrizioni.
Lo consiglio a ragazzine in cerca di letture piacevoli ed incentrate sulla realtà adolescenziale; e con esso consiglio anche la lettura della sua continuazione, Principessa Laurentina.

Louisa May Alcott, Piccole donne, prima ed.1868, Ed. Battello a vapore, collana I Classici, pp.288, Casale Monferrato (AL) 2003

Recensione di Chiara Cristinelli

Il romanzo “Piccole donne” di L:M:Alcott narra la vicenda di quattro sorelle, della loro vita vissuta accanto alla madre ma lontano dal padre partito per la guerra.
La famiglia ab
ita nel nord America, in una casetta accogliente.
La storia prende avvio in inverno, quando le protagoniste Meg, Jo, Beth , Amy e la signora March, la madre, sono riunite intorno al caminetto della propria casa.
In un secondo momento entrerà in scena un ragazzo, Laory, e il suo nonno, il signor Lourence.
La storia racconta delle vicende che uniscono i giovani protagonisti in una vita comune, fatta di litigi, vacanze, malattie e tutto quanto riempie le giornate degli anni della crescita.
Meg, o Margaret, era la sorella maggiore, dell’età di sedici anni. Era una bella ragazza, dal carattere serio e responsabile.
Jo, o Josephine, aveva invece quindici anni ed era una ragazza dai modi meno gentili, un po’ “maschiaccio”, come lascia desumere il suo soprannome; sebbene non molto carina ed impacciata in certe situazioni tipicamente femminili, era divertente e decisa; spesso iraconda, era l’anima festosa della casa.
Beth, o Elisabeth, era una ragazzina di tredici anni; riservata e dotata di una voce timida, il suo volto mostrava spesso un’espressione serena, tranquilla, chiusa in un suo mondo.
Infine Amy, la più piccola.
Le due sorelle maggiori presero sotto le loro “cure” le due sorelle più piccole, così da creare due coppie affiatate:Meg-Amy; Jo-Beth.
Sono molti gli aspetti del libro che si potrebbero prendere in considerazione per un commento. Intanto la figura del padre, che nel romanzo, prima in guerra, poi all’ospedale, è un personaggio sempre presente nei pensieri delle figlie. La malattia del padre e di Beth segna, ad un certo punto della storia familiare, momenti drammatici.
Di certo la sorella che maggiormente evolve nella storia è Jo perché, con l’aiuto della madre, riesce a controllare il suo carattere esuberante ed irascibile.
Questa storia parla anche delle donne, infatti rivolge il suo sguardo ad una società soprattutto femminile, raccontando dei problemi di ragazze, problemi economici, o legati agli affetti femminili, sempre da una prospettiva tutta femminile.
Questo lascia desumere che in America l’emancipazione femminile fosse molto avanzata nell’Ottocento. Potrebbe rispecchiare i tempi che in Italia furono gli anni 1914-1918, quando in una società in guerra, a casa la vita lavorativa continuava col solo sostegno di mogli e figlie.
Il romanzo parla anche dell’amicizia e della solidarietà nei rapporti col vicinato.
Consiglio la lettura di questo romanzo, al giorno d’oggi abbastanza disertato dal gusto imperante tra i giovani per il genere fantastico. Credo invece che questi racconti siano una buona partenza per capire la nostra storia, le situazioni che si potevano vivere in quelle situazioni familiari, che non abbiamo conosciuto.

George Orwell, La fattoria degli animali, prima ed.1944, Mondadori, Milano 2001

Recensione di Stefano Bonetti

Il romanzo si apre con la descrizione della fattoria del signor Jones e degli animali che, in seguito a maltrattamenti, vennero a conoscenza del sogno di riscatto del Vecchio Maggiore, un anziano maiale. Una notte gli animali si riunirono ed il vecchio raccontò loro il suo sogno di essere libero ed indipendente dall'uomo. Incitò per questo gli animali a ribellarsi al fattore. Morto, pochi giorni dopo, il vecchio Maggiore, il suo sogno rimase vivo grazie all’iniziativa di due maiali, Napoleon e Palla di Neve. I due, infatti, guidarono la rivolta che fece seguito di lì a poco al digiuno causato dagli uomini di Jones, troppo ubriachi per ricordarsi di nutrire il bestiame della fattoria.
Inferociti, gli animali si ribellarono al loro padrone con le armi ed il giorno successivo venne scritta sul muro la legge alla quale si sarebbe dovuta attenere tutta la fattoria ribellatasi; ne venne cambiato il nome, da “fattoria padronale” a “fattoria degli animali”, e grazie all’enorme sforzo collaborativo, tutti resero più efficiente la lavorazione della terra, prospera e rigogliosa la vita nella fattoria.
Quando Palla di Neve volle estendere la rivolta anche all’esterno, allargandola a tutta l’Inghilterra, si creò il primo conflitto interno con Napoleon, il quale, da come ci lascia capire l’autore, voleva governare da solo.
Nel frattempo assistiamo anche al tentativo fallimentare di Jones, alleatosi con le fattorie vicine, di entrare armato nella fattoria degli animali per ripristinare l’ordine preesistente.
Nel frattempo continuarono i malumori alla dirigenza della fattoria: questa volta il conflitto tra Napoleon e Palla di Neve avvenne quando quest’ultimo convinse tutti gli animali a costruire un mulino a vento per la produzione di energia elettrica; poiché Napoleon riteneva che il mulino fosse inutile, si ricorse alla votazione che diede torto a Napoleon. Costuì reagì con un colpo di mano: richiamò i cani ammaestrati, fece fuggire il rivale e assunse il controllo della fattoria.
Da questo momento in poi la situazione cominciò a precipitare, al punto tale che gli animali, dopo varie vicissitudini, si ritrovarono a vivere in condizioni peggiori rispetto a quelle precedenti alla rivoluzione… mentre gli animali stessi, fra l’altro, andavano assumendo veri atteggiamenti umani.
L’autore vuole farci riflettere sull’idea impossibile (utopistica) di stato libero, dove ogni cittadino dovrebbe avere uguali diritti; è una sogno impossibile da realizzare poiché, come si può notare nella storia della fattoria, ci sarà sempre qualcuno ( qui è il caso di alcuni maiali ) che vorrà approfittare delle persone più deboli e meno istruite.
I personaggi della vicenda offrono un campionario completo della società reale:
Gli uomini
, dal punto di vista degli animali, rappresentano gli oppressori, i nemici da cui liberarsi.
I maiali
sono definiti gli animali intelligenti. Essi sin dall’inizio prendono il comando della fattoria ma poi, gradatamente, instaurano la dittatura e riducono gli altri animali ad un tenore di vita peggiore di quello in cui si trovavano prima della rivoluzione.
I cani,
spietati e feroci, prestano fedele servizio ai maiali, affogando nel sangue ogni minima ribellione. Rappresentano i mercenari, la soldataglia senza scrupoli che si macchia le mani di sangue.
I cavalli e l’asino
svolgono i lavori pesanti che nessun altro maiale è in grado di fare. Rappresentano il volgo umile, vessato da chi comanda.
Le pecore
, chiassose e stupide, non fanno altro che impedire ogni dibattito con i maiali a proposito delle loro decisioni. Ben rappresentano il popolo che non usa il proprio strumento di giudizio, ma si lascia ciecamente guidare.

Ernest Hemingway Il vecchio e il mare, Ed. Mondatori, Milano 1952

Recensione di Vittorio Di Donato

Il racconto di Hemingway parla di un vecchio, il cui nome era Santiago, che viveva in una piccola casupola vicino al mare.
L’ambientazione geografica della storia è un villaggio dell’isola di Cuba e l’Oceano aperto; per questo spesso viene citata la Corrente del Golfo. L’ambientazione storica non è invece ben definita, probabilmente contemporanea all’autore. La vicenda che viene raccontata dura una settimana.
Di Santiago si sapeva poco, solo che era stato un marinaio; ora dedicava la sua vita alla pesca. Con i capelli ancora folti nonostante l’età, lo si vedeva sempre tra gli scogli, o in mare.
In paese lo si vedeva, invece, di rado e giusto per il tempo necessario a rifornirsi dei pochi alimenti necessari alla sua sopravvivenza.
Nessuno era dunque interessato alla sua compagnia ed il vecchio sembrava non rammaricarsene. Solo un ragazzino di dodici anni aveva preso l’abitudine di tenergli compagnia.
Un giorno però, dopo che da tempo nessuno aveva più visto il vecchio,  la gente del luogo ne aveva chiesto notizia al ragazzo, suo unico ”amico”, che li aveva informati del fatto che Santiago era tornato a viaggiare per mare. Lo scopo di questo viaggio era la cattura di un pesce, che inseguiva ormai da 84 giorni; così, anche quella mattina era partito. Giunto ben presto al largo, un pesce di grosse dimensioni abboccò alla sua esca, ma il vecchio non riuscì facilmente a domarlo nella dura lotta per la sopravvivenza che si aprì tra i due, e che spinse l’imbarcazione troppo al largo. Il vecchio ammirava nel suo rivale il coraggio e la determinazione che investiva nella lotta. Il tempo, i giorni, nel frattempo passavano e la resistenza di entrambi cominciava a vacillare, quando  un giorno Santiago sferrò l’attacco definitivo al pesce, portandolo alla morte. Il vecchio, esausto, doveva ora tornare alla baia, anche se ormai era molto distante.  Lungo il ritorno, però, fu attaccato più volte da pescecani attratti dal sangue del pesce. Ad ogni attacco la sua preda veniva defalcata ( morsa e dilaniata dai pesci), ne venivano staccati dei pezzi.. Santiago dapprima la difese con tutte le proprie forze ed il proprio ingegno (perizia) di pescatore, poi, deluso, abbandonò la difesa e si concentrò sul ritorno.
Il giorno seguente la baia era piena di turisti (curiosi) che circondavano la barca, ormai distrutta, con accanto la carcassa di un pesce enorme.
In una capanna non molto distante, invece, il povero pescatore “dormiva ancora bocconi”, ed il ragazzo gli sedeva accanto e lo guardava.
“Il vecchio e il mare” è una storia che, secondo me, nonostante si basi su un’unica vicenda, coinvolge il lettore in modo appassionante. Così, ad esempio, nella sfida crudele  tra il vecchio ed il pesce, fondata sulla lealtà e sul rispetto.
Ma chi è il suo protagonista? Ci viene descritto come  un uomo magro, con il volto segnato dalla vecchiaia, le mani rovinate dai segni lasciati dalla lenza e dal cancro della pelle. E’ un uomo che non si dà per vinto perché scoraggiato dalla solitudine. Un uomo abituato da una vita dura e piena di sacrifici. Di lui sappiamo che, nonostante la sua vita “emarginata” dalla società, nutriva una grande ammirazione per un idolo sportivo, una star del baseball americano, Gio di Maggio; da cui traeva quel modello di coraggio e tenacia che caratterizzava il proprio agire.
Gran parte del racconto è incentrato anche sull’antagonista, il pesce. Viene descritto come enorme, cinto da strisce viola, calmo nei movimenti, tanto che al vecchio comunicava una certa nobiltà d’animo; nella sua mole era magnifico, possente e maestoso agli occhi di Santiago. Ed a lui sembrava che, nonostante la situazione, il pesce avesse instaurato un rapporto di sfida leale e coraggiosa.
L’intenzione dell’autore è proporre una riflessione sui valori che dovrebbero guidare le battaglie  che ingaggia l’uomo nella propria vita e, forse, proprio con la sua sfida estrema, la morte.
Sul piano della linguaggio l’autore adotta uno stile semplice e comprensibile. Hemingway sa immedesimare il lettore nelle situazioni descritte, rendendo in tal modo il racconto vivo e attraente.

Pierdomenico Boccalario, Alessandro Gatti, Paura a Gravenstein Castle, Ed.Mondadori Ragazzi, Milano 2006

Recensione di Cristina Zatti

Il romanzo narra di come tredici ragazzi di giovane età portarono a termine una missione per adempiere ad una promessa, fatta in segno di amicizia ad una persona il cui nome conoscerete in seguito.
I 13 ragazzi, fondatori del Candy Circle, si trovavano un bel giorno in viaggio d’affari, per svolgere una tournee, quando l’agenzia di viaggi ingaggiata da Gimbo, il più pauroso e paffutello del gruppo, con una passione sfrenata per il cibo, sbagliò indirizzo portandoli in un castello apparentemente abbandonato. Trovandolo chiuso e bastionato, i ragazzi riuscirono verso sera ad irrompere nell’edificio, violando così la quiete e la riservatezza (privacy) della persona che vi abitava, la quale azionò, allarmata, i suoi dispositivi di sicurezza.. Il gruppo, pur venendo a conoscenza che la casa non era abbandonata, non volle lasciare la residenza perché fuori dalle mura una terribile tempesta si era nel frattempo abbattuta sul castello.
Prese forma, dunque, una battaglia. Il proprietario del castello scagliò, senza successo, ogni sorta di congegno elettronico che aveva costruito; infine, stanco che “i mocciosi” ficcanasassero tra i suoi oggetti personali, intervenne personalmente per cacciarli via.
I ragazzi, dal canto loro, vedendo nella persona del proprietario un uomo alto e magro, di complessione esile e carnagione biancastra, pensarono dapprima che fosse uno zombie, ma accettarono alla fine di ascoltare la  vera storia dell’uomo, Gerald Bostock. Questi raccontò, con fare scocciato, come fosse solo un povero uomo, tradito da un amico, che si era dovuto rifugiare in un castello diroccato a costo di essere abbandonato dalla moglie e dalla figlia.
I ragazzi, stupefatti ed a ammutoliti davanti a questa terribile storia, decisero di intervenire segretamente in suo aiuto, dato che l’uomo non l’avrebbe mai permesso.
Svolta la tournee, si misero subito sulle tracce di Joe Treuchau, il falso amico di Gerald. Cosa ne era divenuto di costui? Sappiate solo che fu grazie alle sofisticate invenzioni tecnologiche di “zio Tweedy”, ed all’abile gioco di squadra del Candy Circe, che riuscirono a fargli confessare  le sue truffe e malefatte!
L’autore con questo libro ci vuole far capire che anche se una persona si comporta in modo “malvagio”, non significa necessariamente che sia tale. Può accadere, infatti,  che la tal persona si trovi costretta dalle circostanze a compiere un tale gesto, che si trovi in un momento difficile. E’ il caso di Gerald Bostoch, che entra in scena addirittura con le sembianze di uno “zombie”, ma che in fondo al suo cuore era una persona dolce. Non bisogna giudicare, quindi, dalle apparenze.
La vera cattiveria invece crea solitudine: Joe non aveva amici, a parte i suoi aiutanti che Voltaire chiamerebbe certo non amici ma “complici”. A lui restava il denaro che, come ben sappiamo, non fa la felicità.
Nel romanzo si può riflettere inoltre su come l’unione faccia la forza. I Ragazzi del Candy compiono avventure, tra cui errori, ma si aiutano a vicenda, anche senza preferirsi l’un l’altro. E se è proprio vero che i veri muscoli sono quelli del cervello, l’affiatamento dei ragazzi permette loro di sconfiggere Joe, un adulto di cinque taglie più grande di loro.
Consiglio di leggere questo libro perché è dinamico, divertente ed i fatti riportati al suo interno potrebbero accadere anche al giorno d’oggi. Questa storia a me è piaciuta, aggiungo in conclusione, perché non trovo paragoni con altre narrazioni; nel suo genere non è una delle solite storie, è unica.

Robert Stine, Tragico Halloween, Mondadori, Milano 2003, 152 pagine

Recensione di Alessio Antonietti

Questo libro parla di quattro ragazzi che hanno un insegnante con un figlio nella stessa scuola.
L’insegnante, che si chiama Moon, il giorno 31 ottobre ha invitato a casa sua i quattro ragazzi .
I giovani ignorano l’invito, ma i rispettivi genitori li obbligano ad andare ; durante il viaggio immaginano delle scuse per allontanarsi dalla casa del loro ospite anticipatamente e durante il tragitto vedono alcuni animali morti ma non ci fanno caso .
Una volta giunti alla casa , entrano e trovano ad attenderli il sig. Moon , la moglie Angela ed il figlio . Il sig. Moon per questa festa ha deciso di assumere l’identità di un cacciatore di lupi mannari che deve scoprire quale dei quattro ragazzi fosse un lupo mannaro .
Per scoprirlo fa eseguire dei test e fa bere ai ragazzi un veleno contro i lupi mannari che in realtà è composto da salsa di pomodoro, budino al cioccolato ed uva passa: però due dei ragazzi, Tristan e Rosa si sentono male, e così tutti gli altri pensano che loro siano dei veri lupi mannari .
Il signor Moon spiega però che il veleno non è un vero veleno, e così tutti si rilassano ma, arrivata mezzanotte, Tristan e Rosa si trasformano veramente in due lupi mannari e aggrediscono il resto della comitiva che fa appena in tempo a telefonare al pronto intervento .
La mattina successiva la Polizia trova la casa vuota perché i lupi mannari hanno sbranato tutto il gruppo .
A mio parere questo libro è bello perchè i fenomeni soprannaturali sono un argomento che gradisco molto e perché prende spunto da fatti che alcune persone studiano ritenendoli veri .
DESCRIZIONE DEL SIGNOR MOON
è un signore magro, alto con i capelli castani e gli occhi rotondi e dello stesso colore dei capelli, egli inoltre è un topo di biblioteca .

Robert Louis Stevenson, L'isola del tesoro, Mondadori, Milano 2002, 247 pagine

Recensione di Chiara Cristinelli

Il libro “L’isola del tesoro” è stata scritta nella seconda metà dell’1800 dallo scrittore Robert Louis Stevenson e parla della ricerca del tesoro del famigerato capitano Flint.L’avventura ha inizio con l’arrivo in una locanda di un bucaniere alla ricerca di un posto dove nascondersi da dei pirati.Alla sua morte il ragazzo Jim Hawkins e sua madre salgono nella sua camera per prendere la parte di soldi che li dovevano. Il ragazzo prese degli oggetti personali tra cui un pezzo di carta. Sapendo che l’uomo era un bucaniere, Jim, con altri uomini, andò dal dottor Livesey e dal cavaliere Trelawney per mostrargli la busta dell’uomo; aperta la busta si scoprì che il contenuto era una mappa del tesoro.Il cavaliere decise di finanziare il viaggio per trovare l’isola e di conseguenza il tesoro.
Dopo mesi di navigazione e di turni strazianti, Jim si addormenta nel barile di mele sul ponte; svegliatosi sente delle voci che parlano di un ammutinamento. Sono le voci del cuoco Long John Silver e di altri. Jim appena possibile va dal capitano Smollet, dal dottor Liversey, dal cavaliere Trelawney per informarli della futura ribellione. Questi avvistata l’isola si stabiliscono nel fortino con munizioni, armi e alimenti vari; dopo alcuni giorni gli ammutinati assaltano il fortino. Il conflitto dura parecchie ore ma, per i pirati, ha un cattivo esito;infatti molti di loro sono stati uccisi. Dopo altri giorni d’attesa Jim, stufo di star li va a liberare la nave dalle grinfia dei ribelli. Per riuscire in questa impresa il ragazzo dovrà uccidere infatti ammazzerà il bucaniere Isdrael Hands che era a guardia del vascello. Messa al sicuro ritorna al fortino dove, sfortunatamente trova non i suoi amici ma i pirati con i loro viveri e i loro moschetti. Il “capitano” Silver li spiega che i suoi amici li hanno lasciato pure la mappa.
Dopo alcune giornate i delinquenti vanno alla ricerca del tesoro. Arrivati al punto fatidico dove si dovrebbe trovare l’oro, trovano una buca scavata da un pover uomo di nome Ben Gunn dovuto restare su quell’isola per ben due anni. Lui prese tempo indietro il tesoro e lo nascose nella sua tana .Ritornando ai pirati si ritrovarono un’imboscata dai buoni; infatti Long John Silver era d’accordo con loro. Sistemati i pirati sull’isola e il denaro sulla nave intrapresero il loro ricchissimo viaggio di ritorno.
I PERSONAGGI
Jim Hawkins è il personaggio che è evoluto di più perché solo all’inizio aveva paura di parlare con il bucaniere che era “ospitato” nella locanda del padre ma con il viaggio è riuscito perfino ad uccidere. In questo progresso il ragazzo è riuscito a sconfiggere le sue paure.
Long John Silver è un personaggio un po’ ambiguo: davanti ai suoi uomini è fermo invece parlando con il dottore della forca si vede in volto la sua paura. Poi si scopre che ha un punto debole: Jim; è sempre stato amorevole con il ragazzo ed è anche disposto a farsi uccidere dai suoi uomini per proteggerlo.
IL CONFRONTO
Il confronto che voglio proporre è quello con il film “il pianeta del tesoro” della Walt Disney dell’2002.
Vedendo il film la prima cosa diversa dal libro è che Jim non ha perso il padre per una malattia ma per il suo spirito di libertà; infatti, il padre di Jim è scappato quando il ragazzo aveva all’incirca 10 anni.
La seconda differenza è che Ben Gunn è un robot senza memoria perciò non sa dove si trovi il tesoro.
Infine nessuno riceve il tesoro di Flint perché ha un sistema d’autodistruzione.
La cosa bizzarra è che il libro è nel passato rispetto all’autore, infatti, è ambientato nel 1700; invece il film è ambientato nel futuro rispetto ha noi.

Federico Moccia, Ho voglia di te, Feltrinelli, Milano 2006, 415 pagine

Recensione di Valentina Bracchi


Federico Moccia è nato a Roma nel 1963, è autore per la TV e sceneggiatore per il cinema. Con il libro Tre metri sopra il cielo ha vinto il premio Insula Romana, della sezione giovani-adulti 2004.
Questo romanzo ha raccolto molta fama, ed è stato venduto in tutti i paesi europei. Lo si poteva trovare anche sulla bancarella dei libri esposti  negli angusti Uffici postali d’Italia, quest’estate!
Nel libro si parla di un ragazzo fantastico di nome Step. Step, dopo soli due anni di permanenza a New York, torna a Roma dal fratello perché vuole avvicinarsi alla madre. Molte cose per lui sono cambiate, e lui fa fatica a trovare i vecchi riferimenti, ma Step viene aiutato dal padre e riesce ad entrare nel mondo dello spettacolo. Incontra anche amici di gioventù “Budokani”: Lucone, Schello, Bardato, Balestri e tutti gli altri. Essi riportano i segni che il dolore lascia dentro, prima ancora che sulla pelle. Sono dei ragazzi ribelli, ma consapevoli e soprattutto non sono per niente cambiati…
Lo trovo un bel libro, piacevole alla lettura e lo sconsiglio ai giovani lettori.

Joanne Kathleen Rowling, Harry Potter e la Pietra Filosofale,
Salani, Milano 1998, 296 pagine

Recensione di Alessia Di Gesù

I libri di Harry Potter sono piacevoli da leggere perché sono scorrevoli ed è un racconto molto vario perché è: narrativo, avventuroso, si trovano delle battute di spirito, e c’è una forte amicizia che lega i tre ragazzi sino al punto di aiutarsi a vicenda anche di fronte a grandi difficoltà e persino di fronte al pericolo della morte; grazie alla loro amicizia riescono a superare i diversi ostacoli della vita e a salvare se stessi e tutto il mondo della magia. Nel leggere questi libri ci si sente quasi presenti li con loro e ci si sconnette dal mondo reale. Però leggendoli attentamente, si apre una finestra sulla nostra realtà, e ci si rende conto che la nostra vita è il frutto delle nostre scelte. Anche le amicizie sono delle scelte, è meglio essere amico di persone che hanno bisogno di aiuto o di sostegni economici perché quelle persone ti saranno sempre accanto anche nei momenti più difficili, mentre quelle persone che hanno molti soldi, quando stai bene o nei momenti di svago si divertono insieme a te, quando invece stai attraversando un brutto e difficile momento e gli chiedi aiuto per riuscire ad uscirne, quelle persone ti abbandonano.
LA STORIA
Harry Potter era figlio di due maghi. Una notte un potente mago (di magia nera), di nome Voldemort, irruppe nella casa dei genitori di Harry, con l’intenzione di sterminare la famiglia.Le vittime dell’assassino furono i due genitori che tentarono di salvare il proprio figlio, ma quando Voldemort cercò di uccidere Harry, non ci riuscì a causa dei poteri che i suoi genitori gli avevano trasmesso. Voldemort gli lasciò una profonda cicatrice a forma di saetta e da quel giorno perse parte dei suoi poteri. Harry rimasto solo, venne affidato ai Dursley, una famiglia di Babbani (persone senza poteri magici), gli unici parenti rimasti in vita dei Potter. Harry non si accorse che era un mago, anche se alcuni fatti erano accaduti grazie alla sua stregoneria. Harry passò una parte della sua vita con i Dursley essendo allo scuro che i suoi genitori erano dei maghi ed erano stati assassinati, ma credendo che fossero morti in un incidente d’auto, finché Agrid (custode delle chiavi e dei luoghi a Hoguorts) non venne a prenderlo per portarlo nel mondo della magia. Prima dell’arrivo di Agrid, a Harry erano state inviate delle lettere per avvisarlo che era stato ammesso alla scuola di magia e stregoneria di Hoguorts, ma i Dursley non permisero a Harry di leggerle, piuttosto le bruciarono, perché non volevano che diventasse un mago e anche per questo gli mentirono sul come erano morti i suoi genitori. Quando Agrid s’infiltrò nella casa dei Dursley era il giorno dell’undicesimo compleanno di Harry, Agrid mostrò la lettera dell’ammissione a Harry, il quale confessò di non essere un mago, allora Agrid scoprì che i genitori adottivi avevano mentito al ragazzo sulla sua vera identità, sulla vita e sulla morte dei Potter. Harry, avendo scoperto la verità, decise di iscriversi a Hoguorts per allontanarsi dai Dursley, che lo trattavano come un cane e per conoscere la vita dei suoi genitori, come per imparare l’arte della magia. Allontanatosi con il nuovo amico dall’abitazione dei Dursley, i due ragazzi si diressero a Diagonalley per procurarsi il materiale occorrente e per prelevare qualche spicciolo dalla Gringot (la banca dei maghi), dove Agrid prese possesso della pietra filosofale per portarla ad Hoguorts per ordine di Silente, il preside della scuola. Nel tragitto passarono nel Paiolo Magico (un bar di soli maghi), dove Harry scoprì che era un mago famoso, anche se non sapeva perché lo fosse; conobbe per la prima volta il suo primo professore quello di “Difese contro le arti oscure”, il professor Raptor, che all’apparenza sembrava un simpatico, bravo e balbuziente professore, ma che poi si farà conoscere per le sue idee malvagie. Harry, per comprare la bacchetta magica, si recò da Olivander, il miglior negozio che vendeva bacchette magiche. Il proprietario del negozio si ricordava perfettamente dei genitori di Harry. Il negoziante fece provare a Harry vari tipi di bacchette ma nessuna di esse si adattava a lui, quando al proprietario venne in mente che la bacchetta adatta a Harry sarebbe stata la gemella di quella che aveva venduto a Voldemort cioè quella che aveva inferto la cicatrice sul ragazzo. Difatti quando la provò era perfetta per Harry e gli spiegò che la gemella era stata venduta ad un mago che aveva fatto cose molto brutte, ma grandi e che tutti i maghi non osano pronunciare il suo nome, e che tutti si aspettano grandi cose da Harry. Dopo che era uscito dal negozio chiese ad Agrid chi fosse questo mago di cui si aveva paura a pronunciare il nome. Agrid, un po’ intimorito, riuscì a spiegare ad Harry che era colui che aveva ucciso i suoi genitori ed era grazie a questo mago che lui era famoso, perché era l’unico mago che era sopravvissuto al passaggio del Signore Oscuro. Visto che Agrid avrebbe raggiunto Hoguorts senza Harry il giorno dopo Agrid diede al ragazzo il biglietto di un treno che l’avrebbe condotto ad Hoguorts, ma sul biglietto era indicato il binario nove e tre quarti che nella vita dei Babbani non esiste ed Harry non sapeva quale fosse. Nell’attraversare la stazione sentì delle persone che parlavano di Babbani e allora si aggregò a loro. Qui conobbe il suo futuro compagno d’avventure “Ronald Weasley”. Harry chiese aiuto alla famiglia di Ron per raggiungere il binario. Una volta sul treno Harry e Ron conobbero Hermione Granger, una ragazzina anche lei del primo anno ma a differenza di loro molto più preparata. Durante il viaggio bussò alla porta della cabina, dove si erano accomodati Harry e Ron, un ragazzo antipatico e presuntuoso il cui vero nome era Draco Malfoy, che cercava di fare amicizia col famoso Harry Potter, ma che Harry tenne adebita distanza. Quando arrivarono al castello vennero smistati nelle varie case, che erano:Grifondoro, Serpeverde, Tassorosso e Corvonero... e qui siamo giunti nella scuola, il teatro delle avventure, sfide e misteri che consoliderà il rapporto di amicizia tra i nuovi compagni. Ma sarà al lettore seguire l’intreccio della storia!

Frances E.Burnett, Il giardino segreto, Deagostini, Milano, 2004, 320 pagine

Recensione di Carlotta Toscano
classe 3c, Scuola Media Statale "U. Foscolo"- Bagnara Cal. (RC)

CONTENUTO
Mary Lennox, figlia di un ufficiale inglese residente in India, perde i genitori a nove anni, a causa di un’epidemia di colera. Un lontano parente, Lord Craven, la conduce allora a vivere nella sua ricca ma tetra dimora, isolata nella brughiera dello Yorkshire. Mary arriva cosi nel suo paese natale, l'Inghilterra, e la prima impressione che ne riceve non è certamente favorevole: il paesaggio è monotono e tetro, cosi come sembra essere la casa in cui è ospitata. La ragazza, però, si sbaglia di grosso e non tarderà ad accorgersene: incomincerà a farsi molte domande e a cercare le risposte su alcuni misteri che circondano la strana e misteriosa casa in cui vive. Tutto ciò contribuisce a movimentare la vita di Mary che, da piccola viziata e prepotente, si trasforma pian piano in una bambina piena di salute, entusiasmo e gioia di vivere.

STILE
lessico semplice, periodi facili, ritmo lento, molte descrizioni

GENERE
romanzo d’avventura

INTEZIONE COMUNICATIVA
L’autore cerca di invitare alla lettura con la proposta di romanzi avventurosi e fiabeschi

E NE CONSIGLIA O SE NE SCONSIGLIA LA LETTURA PERCHE’…
Ne consiglio la lettura perché è un libro affascinante ed interessante

Giovanna Righini Ricci, Ombre sul Nilo, Bruno Mondadori, Milano, 1990, 215 pagine

Recensione di Maria Letizia Caminiti
classe 3c, Scuola Media Statale "U. Foscolo"- Bagnara Cal. (RC)

CONTENUTO

Il racconto si apre con una rilassante cavalcata attraverso il deserto egiziano,all’ombra delle piramidi della valle dei Re. Protagonisti della storia sono: Kalil e due sorelle americane, Mari Beth e Mari Ann. Le ragazze si trovano in vacanza in Egitto, con i genitori. Durante una festa in maschera a bordo della Nefertiti Queen, lussuosa nave da crociera che discende la corrente del Nilo, Mari Beth nota la presenza di due arabi misteriosi che la fissano. Dopo qualche giorno, durante una gita sui cammelli, scompare ogni traccia della ragazza. Non si trova neanche il giovane Kalil,amico di Mari Beth, e si pensa sia un complice dei presunti rapitori. I genitori di Mari Beth ricevono dopo qualche giorno alcuni messaggi da parte dei rapitori, che sono terroristi islamici, e ciò accresce il loro panico. Kalil, intanto, è andato all’ inseguimento dei rapitori. Riesce a trovare Mari Beth  e la libera. Ma ce la faranno i due ragazzi ad arrivare sani e salvi al Cairo, senza farsi prendere dai rapitori che ormai li inseguono?

STILE
Lessico semplice, periodi facili, ritmo veloce, ricco di descrizioni.

GENERE
romanzo d’avventura e attualità.

INTEZIONE COMUNICATIVA
L’autore si prefigge di interessare il lettore e di farlo riflettere.

SE NE CONSIGLIA O SE NE SCONSIGLIA LA LETTURA PERCHE’…
Se ne consiglia la lettura perché è un libro avvincente, le cui vicende possono trovare riscontro anche in alcune situazioni attuali.

NB: per gentile concessione dell'autrice il libro è scaricabile all'indirizzo http://www.giovannarighiniricci.it/sito/download.htm

Richard Bach, Il gabbiano Jonathan Livingston, Rizzoli, Milano 1994

Recensione di Simone Iovenitti
2L dell'istituto Sabin di Redecesio (Mi)

PROTAGONISTA: JOHNATAN LIVINGSTON
ALTRI PERSONAGGI: SULLIVAN,CHAD,FLETCHER
EPOCA: XX SEC
Il libro, di R. Bach, narra la storia di un gabbiano diverso per ideali, opinioni e intenzioni: il gabbiano Johnatan Livingston. Abbiamo letto questo libro per partecipare ad un progetto della provincia di Milano, ideato per riflettere sul significato del libro, per apprendere nozioni scientifiche sugli ecosistemi e per approfondire aspetti del comportamento e del fisico di alcuni animali in un modo più piacevole e diverso dallo stare sempre tra le mura di scuola.
Johnatan è convinto che volare sia un'arte che può servire a dare un senso alla vita, a facilitarla e ad aiutare l'individuo a raggiungere la perfezione interiore.
Johnatan per perfezionare la sua tecnica si esercita ogni giorno con costanza e tenacia, e per questo viene esiliato dal suo stormo di nome Buonappetito.
Continuando ad esercitarsi, in casta solitudine, raggiunge una bravura e una serenità interiore tale che due gabbiani provenienti da un altro mondo, cioè da un posto dove il volo è tutto e l'abilità in esso è superiore, gli si affiancano e in formazione lo conducono nel loro mondo. 
Qui Sullivan gli insegna nuove tecniche e stili di volo e lo aiuta a migliorare e perfezionare le sue conoscenze. Johnatan chiede informazioni all'anziano capo, Chad, sul paradiso che è sempre stato il suo più grande interrogativo. Esso risponde che il paradiso non è un luogo, ma è la perfezione e gli dà una prova della sua bravura. Johnatan interessato chiede di poter imparare e Chad diventa il suo nuovo maestro. Johnatan, diventato esperto, sceglie di tornare al suo stormo al posto di passare al mondo successivo. 
Qui trova altri gabbiani, esiliati per le stesse ragioni per le quali lui era stato esiliato, e diventa il loro maestro. Quando li lascia, Fletcher diventa il nuovo maestro del gruppo; e mentre Johnatan raggiunge Chad, Fletcher capisce che solo ora ha cominciato ad imparare.
E' un libro molto piacevole, profondo e significativo: è piaciuto molto a tutti perchè dalle sue pagine si possono imparare cose nuove, vere e utili per oltrepassare gli ostacoli che potremmo trovarci davanti.

Myron Levoy, Alan e Naomi, Mondadori, Milano, 1998

Recensione di Vincenzo  
annobalene.JPG (7240 byte)Alan Silverman vive in un quartiere popolare di New York, dove, per avere degli amici, è spesso costretto a fingersi più duro di quanto non sia. Poi nel suo palazzo viene ad abitare Naomi, ebrea come lui, che viene dalla Francia ed è sfuggita per miracolo agli agenti della Gestapo: un’intrusa inquietante, che rifiuta di comunicare col mondo e sembra persa in un incubo senza fine.
Sarà Alan a rompere a poco a poco il drammatico isolamento, a farle ritrovare la capacità di entrare in contatto con gli altri e di raccontare le terribili esperienze vissute; ma la sua amicizia con Naomi deve restare un segreto, o gli altri ragazzi lo metteranno al bando.
Myron Levoy
È nato e vive a New York. Otre a romanzi per adulti, tutti di buon successo, scrive per gli adolescenti ed è considerato uno dei migliori autori americani per “giovani adulti”

Recensione di Giada Bruno  
2L dell'istituto Sabin di Redecesio (Mi)

Alan e Naomi è un libro ambientato durante la seconda guerra mondiale a New York.
Naomi è una ragazza ebrea fuggita dalla Francia con la madre, che ha dei problemi poiché ha visto suo padre ucciso dai nazisti proprio davanti a lei.
Alan è un ragazzo ebreo-americano che spinto dai genitori e dal buonsenso cerca di aiutarla, nonostante l'umiliazione che avrebbe potuto subire se i suoi compagni l'avessero scoperto "con una femmina".
Lui non si scoraggia e riesce a diventare amico della coinquilina del pianerottolo di sopra ma, un bruttissimo giorno scoppia un litigio tra lui e un compagno che aveva preso in giro Naomi; di fronte al sanguinoso episodio la ragazza ricade nel ricordo del passato: da quel momento in poi Naomi non è più la stessa persona e non lo sarà mai più.
Il libro non ha un lieto fine, come si può intuire, ma secondo me ha un importante significato, perché spiega come l'uomo può uccidere la mente dei suoi fratelli e come possa essere spietato e crudele con i suoi simili.
Alan e Naomi è un libro piacevole, soprattutto nelle righe dove il lettore scopre come da un semplice gioco può sbocciare un'amicizia e dove capisce che niente è impossibile.
Alan infatti è cresciuto grazie all'esperienza con Naomi e anche se l'amica pur essendo viva "non c'è più" egli non la dimenticherà come io non dimenticherò il libro letto in classe perchè mi è piaciuto veramente.

Recensione di Carlotta Montanari
2L dell'istituto Sabin di Redecesio (Mi)

Il libro è ambientato durante la seconda guerra mondiale.
Il protagonista è un ragazzino di nome Alan che vive in un quartiere alla periferia di New York.
Nell'appartamento sopra di lui arrivano dei nuovi inquilini, Naomi e sua madre, fuggite dalla Francia perchè ebree.
La ragazzina ha dei problemi:perchè ha visto i soldati tedeschi uccidere il padre.
Quindi Alan, obbligato dai genitori, dedica un'ora al giorno a Naomi ma deve assolutamente inventare una scusa da dire al suo migliore amico per evitare di essere deriso da lui.
La prima volta che va da Naomi, lei continua incessantemente a strappare fogli di carta ma, quando passata un'ora Alan la saluta facendo parlare il suo pupazzo con sorpresa anche Naomi lo ricambia con la sua bambola.
Così tutti i giorni Alan trascorre un'ora del suo tempo con la ragazza, dopo la scuola e diventa sempre più difficile nascondere il segreto all'amico Shaun. Quando Shaun lo scopre, si offende per la fiducia che Alan non ha saputo riporre in lui, negandogli la verità riguardo Naomi.
Con lei intanto, Alan ha instaurato un bellissimo rapporto di amicizia.Un giorno però,durante il tragitto per andare a scuola, i due ragazzi vengono derisi da Jhonny Condello che li chiama " giudei ".
Scoppia la lotta, Alan prende a botte Jhonny e viceversa.
Naomi, esterefatta, vede il sangue; scappa e solo dopo qualche giorno la ritrovano. Non è più lei, è come se avesse rivissuto quell'orribile momento quando era piccina.
Ora la tengono in manicomio e non tornerà più da Alan.
Lo scrittore racconta in questa storia di un adolescente non abbastanza forte e duro per essere considerato dagli altri ragazzi un maschio; scopre attraverso un'amicizia difficile e drammatica i veri valori importanti ed essenziali della vita per poi diventare un vero adulto.o.
Il libro è stato molto educativo perchè esprime, oltre al significato dell'amicizia, situazioni che oggi si presentano ancora ma in forma diversa.

Recensione di Simona Belà
2L dell'istituto Sabin di Redecesio (Mi)

L'azione si svolge a New York, più precisamente nel Bronx, durante la seconda guerra mondiale.
I protagonisti sono due ragazzi, entrambi ebrei, Alan(americano) e Naomi(emigrata dalla Francia).
La ragazza era rimasta traumatizzata dopo aver visto il padre ucciso dai nazisti proprio sotto i suoi occhi, perciò aveva bisogno di aiuto. Alan, per decisione dei genitori, ma contro la sua volontà, cerca di aiutarla. Con molta difficoltà i due diventarono amici e ora Naomi era una ragazza come tutte. Ma poi assistette ad una rissa: il sangue. Ne rimase sconvolta e tutto ciò che Alan era riuscito a fare si cancellò.
La rinchiusero in manicomio.
Il narratore, Alan, è interno e narra in prima persona.
Il libro è molto bello, in un primo momento emozionante e assolutamente imprevedibile. E' in parte storico perchè racconta le atrocità commesse dai nazisti e la vita di molte persone rovinate per causa loro.
Non ha un lieto fine, per questo è imprevedibile: la speranza del lettore è che la vicenda finisca per il meglio, ma non essendo una fiaba ma la realtà, questa speranza non può essere esaudita.
L'autore, Myron Levoy, è molto bravo perchè riesce perfettamente a far immedesimare, entusiasmare e infine quasi piangere il lettore.
Consiglio di leggere questo libro in quanto coinvolgente ed istruttivo perchè ci insegna che nella vita non sempre vi è un lieto fine.

Francis Devil, Dal buio, Prospettiva editrice (Roma), 100 pagine

Recensione di Jack Millerton

QUESTE LE PAROLE, CREDO DELL'AUTORE, IN QUARTA DI COPERTINA:A:
Orrori come abitualmente siamo abituati a raffigurarli, ed orrori ben più sottili ed imprevedibili, figli dell'abitudine, delle piccole bugie, dei pensieri crudeli ed inconfessabili che prendono vita Dal Buio.
Orrori sfogati sulla carta, forse per mantenere la giusta facciata di normalità. Scrivere come se ti buttassero i rifiuti, come se estirpassero un male, dimenticandosi per un istante che le radici restano e, Dal Buio, continuano ad infestare la luce, la normalità... ma il confine è labile e non sai mai dove puntare la canna della tua doppietta quando Dal Buio giunge l'indefinibile.

IL MIO COMMENTO
Trovato in una stazione ferroviaria, appena abbandonato da un tizio sulla trentina, giaccone blu e sguardo altrove.
Letto in treno, tutto. Un libro di racconti brevi.
Su rotaie, da Milano a Bologna, interrotto soltanto dalla ragazza che mi ha timbrato il biglietto. Racconti letti con attenzione, alcuni all'apparenza banali, ma sempre permeati da uno strano senso di minaccia: situazioni normali che prendono pieghe assurde, grottesche, orrorifiche.
Francis Devil è un nome che ne sa di pseudonimo, pure banale.
Orrori insoliti quelli di Francis, letti in fretta, su quel treno. Forse voi li leggerete con maggiore attenzione, io più che altro ero impegnato a pensare alla ragazza che mi ha timbrato il biglietto.
Riuscirà a conoscerla prima di arrivare a Bologna! Così come riuscirò a saperne qualcosa di più su questo Francis Devil?

 

 

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