Eric
Maria Remarque
da
Niente di nuovo sul fronte occidentale
le reclute
All'improvviso
il fuoco riprende a tambureggiare, e ci ripiomba nella fissità
dell'attesa inerte.
Attacco, contrattacco, urto, resistenza: semplici parole, ma quale realtà
racchiudono in sè! Questa volta perdiamo molta gente, reclute per lo piú.
Al nostro reparto giungono nuovi complementi, dai reggimenti di nuova
formazione: quasi tutti giovinetti delle ultime classi. Non sono quasi
formati. Appena hanno potuto fare un po' d'istruzione, prima d'essere
mandati in linea. Sanno che cosa sia una bomba a mano, ma appena hanno
un'idea di che cosa significhi coprirsi, e soprattutto non hanno occhio.
Un avvallamento sfugge alla loro attenzione, se non è alto almeno mezzo
metro.
Quantunque si abbia tanto bisogno di rinforzi, questi poveri figlioli ci
portano piú lavoro che aiuto. Non sanno disimpegnarsi, in questo
terreno cosí battuto e cadono come le mosche.
La guerra di posizione odierna richiede cognizioni ed esperienze
speciali; bisogna conoscere il terreno, aver fatto l'orecchio ai
calibri, ai loro suoni ed effetti diversi; bisogna saper prevedere dove
vanno a scoppiare, fin dove arrivano le schegge, e come ci si protegge.
Questi giovinetti naturalmente non sanno quasi nulla di tutto ciò, e
vengono falciati, perché neppure distinguono uno shrapnel da una
granata; ascoltano con ansia l'ululo dei grossi calibri innocui, che
scoppiano lontano dietro le nostre spalle, e non sentono il sibilo
leggero delle piccole bestie malefiche che esplodono in mezzo a noi.
Come pecore si stringono in un mucchio invece di spargersi intorno, e
perfino i feriti vengono sterminati dagli aviatori, come lepri.
Oh le pallide facce color di rapa, le tristi mani abbrancate, il
miserabile coraggio di questi poveri cani, che nonostante tutto vanno
avanti e attaccano; di questi bravi, poveri cani, cosí intimiditi che
neppure osano urlare la loro sofferenza, e col petto e con la pancia
squarciati, con le braccia e le gambe fracassate non sanno che gemere
piano, chiamando la mamma, e tacciono subito se qualcuno li guarda in
viso!
I loro volti smorti e aguzzi, con poca peluria, hanno l'atroce assenza
d'espressione dei bambini morti.
È un'angoscia che prende alla gola, vederli balzar fuori e correre e
cadere. Si vorrebbe picchiarli, tanto sono stupidi, e insieme prenderli
in braccio e portarli via di qua, dove non hanno che fare. Portano come
noi la giubba grigia e pantaloni e stivali, ma per la maggior parte
l'uniforme è troppo larga e balla loro sulle membra. Hanno spalle
troppo strette, troppo esili i corpi, non v'erano taglie adatte per
fanciulli di questa specie.
Per un anziano che cade, cadono da cinque a dieci reclute.
Un attacco improvviso, col gas, ne falciò parecchi. Non riuscivano a
comprendere ciò che li aspettasse; ma abbiamo trovato un ridottino
pieno di morti con la faccia azzurrastra e le labbra nere. In una buca
si sono tolte le maschere troppo presto, ignorando che a fior di terra
il gas si mantiene piú a lungo. Quando hanno visto gli altri, sopra,
togliersi la maschera, se la sono strappata anche loro, e hanno ingoiato
ancora abbastanza gas per bruciarsi i polmoni. Il loro stato è senza
speranza, soffocheranno fino alla morte fra sbocchi di sangue e attacchi
di asfissia...
(..)
Fuoco tambureggiante, fuoco d'interdizione, cortina di fuoco, bombarde,
gas, tanks, mitragliatrici, bombe a mano: son parole, parole, ma
abbracciano tutto l'orrore del mondo.
Abbiamo i volti incrostati di fango, le teste vuote, siamo stanchi
morti: quando viene l'attacco, certuni bisogna risvegliarli a suon di
pugni perché camminino: gli occhi sono infiammati, le mani graffiate, i
ginocchi sanguinanti, i gomiti contusi.
Passano settimane, mesi, anni? No, appena giorni. Accanto a noi vediamo
scorrere il tempo sui volti scoloriti dei morenti; noi inghiottiamo
cibo, corriamo, spariamo, uccidiamo, giacciamo come morti qua e là per
terra, siamo deboli e intontiti; e ci sosteniamo soltanto per questo,
che altri, piú di noi estenuati, piú abbrutiti, piú confusi, ci
guardano con gli occhi sbarrati, e ci considerano come semidei capaci di
sfuggire, qualche volta, alla morte.
Nelle poche ore di riposo ci sforziamo d'erudirti. « Vedi là quel
barilotto? È un colpo di bombarda in arrivo. Niente paura, ci passa
sopra. Ma se cadesse a questo modo, allora scappa! C'è tempo di
ripararsi. »
Educhiamo il loro udito a distinguere il sibilo traditore dei
piccoli proiettili, che si sentono appena; bisogna che li percepiscano
in mezzo al fragore, come il sussurro d'una zanzara; diciamo loro che
sono piú pericolosi dei grandi che si odono un pezzo prima. Mostriamo
loro come ci si ripara dagli aviatori, come si fa il morto quando
ci vien sopra l'attacco nemico, come si preparano le bombe a mano per
farle esplodere al momento giusto; insegniamo loro a gettarsi nel fosso
in un lampo, quando arrivano le granate a tempo; mostriamo come con un
tascapane pieno di bombe a mano si spazzi una trincea; spieghiamo la
differenza fra la durata di accensione delle bombe nemiche e quella
delle nostre; li facciamo attenti al suono particolare dei proiettili a
gas; insomma mostriamo loro tutti i trucchi che possono salvare la
pellaccia.
Ascoltano docili e poi, quando la musica ricomincia, nell’ansietà del
momento ritornano a sbagliare.
|