L'eroismo
Noi
avevamo costruito una trincea solida, con sassi e grandi zolle. I
soldati la potevano percorrere, in piedi, senza esser visti. Le vedette
osservavano e sparavano dalle feritoie, al coperto. Il generale guardò
alle feritoie, ma non fu soddisfatto. Fece raccogliere un mucchio di
sassi ai piedi del parapetto, e vi montò sopra, il binoccolo agli
occhi. Cosí dritto, egli restava scoperto dal petto alla testa.
- Signor generale, - dissi io, - gli austriaci hanno degli ottimi
tiratori ed è pericoloso scoprirsi cosí.
Il generale non mi rispose. Dritto, continuava a guardare con il
binoccolo. Dalle linee nemiche partirono due colpi di fucile. Le
pallottole fischiarono attorno al generale. Egli rimase impassibile. Due
altri colpi seguirono ai primi, e una palla sfiorò la trincea. Solo
allora, composto e lento, egli discese. Io lo guardavo da vicino. Egli
dimostrava un'indifferenza arrogante. Solo i suoi occhi giravano
vertiginosamente. Sembravano le ruote di un'automobile in corsa.
La vedetta, che era di servizio a qualche passo da lui, continuava a
guardare alla feritoia, e non si occupava del generale. Ma dei soldati e
un caporale della 12° compagnia
che era in linea, attratti dall'eccezionale spettacolo, s'erano fermati
in crocchio, nella trincea, a fianco del generale, e guardavano, piú
diffidenti che ammirati. Essi certamente trovavano in
quell'atteggiamento troppo intrepido del comandante di divisione,
ragioni sufficienti per considerare, con una certa quale apprensione, la
loro stessa sorte. Il generale contemplò i suoi spettatori con
soddisfazione.
- Se non hai paura, - disse rivolto al caporale, - fa' quello che ha
fatto il tuo generale.
- Signor sí, - rispose il caporale. E, appoggiato il fucile alla
trincea, montò sul mucchio di sassi.
Istintivamente, io presi il caporale per il braccio e l'obbligai a
ridiscendere.
- Gli austriaci, ora, sono avvertiti, - dissi io, - e non sbaglieranno
certo il tiro.
Il generale, con uno sguardo terribile, mi ricordò la distanza
gerarchica che mi separava da lui. Io abbandonai il braccio del caporale
e non dissi piú una parola.
- Ma non è niente, - disse il caporale, e risalí sul mucchio.
Si era appena affacciato che fu accolto da una salva di fucileria. Gli
austriaci, richiamati dalla precedente apparizione, attendevano coi
fucili puntati. Il caporale rimase incolume. Impassibile, le braccia
appoggiate sul parapetto, il petto scoperto, continuava a guardare di
fronte.
Bravo! - gridò il generale. - Ora, puoi scendere.
Dalla trincea nemica partí un colpo isolato. Il caporale si rovesciò
indietro e cadde su di noi. Io mi curvai su di lui. La palla lo aveva
colpito alla sommità del petto, sotto la clavicola, traversandolo da
parte a parte. Il sangue gli usciva dalla bocca. Gli occhi socchiusi, il
respiro affannoso, mormorava:
- Non è niente, signor tenente.
Anche il generale si curvò. I soldati lo guardavano, con odio.
- È un eroe, - commentò il generale. - Un vero eroe.
Quando egli si drizzò, i suoi occhi, nuovamente, si incontrarono con i
miei. Fu un attimo. In quell'istante, mi ricordai d'aver visto quegli
stessi occhi, freddi e roteanti, al manicomio della mia città, durante
una visita che ci aveva fatto fare il nostro professore di medicina
legale.
- È un eroe autentico, - continuò
il generale.
Egli cercò il borsellino e ne trasse una lira d'argento.
- Tieni, - disse, - ti berrai un bicchiere di vino, alla prima
occasione.
Il ferito, con la testa, fece un gesto di rifiuto e nascose le mani. Il
generale rimase con la lira fra le dita, e, dopo un'esitazione, la lasciò
cadere sul caporale. Nessuno di noi la raccolse.
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