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Sulla prima guerra mondiale

Le agitazioni contadine e le "furie"

Numerosissime agitazioni contro la guerra ebbero luogo in Italia nel 1916, e più ancora nel 1917. I «fatti di Torino» dell’agosto 1917 costituirono l’episodio più grave e più conosciuto, ma altre centinaia di violente manifestazioni ebbero luogo quasi in ogni provincia d’Italia. L’ampia ed attiva partecipazione delle donne fu l’elemento caratterizzante di questa ondata di agitazioni. Già nel gennaio-marzo 1916, a Firenze, «le donne del contado» cercarono di inscenare manifestazioni pacifiste. Nell’aprile successivo, a Mantova, altri gruppi di donne dimostrarono contro la guerra. Verso la fine dell’anno le agitazioni si moltiplicarono in misura impressionante(143). Quasi ogni lunedì — dato che il lunedì era il giorno in cui venivano distribuiti i sussidi — venivano segnalate dimostrazioni spontanee di donne che reclamavano il ritorno dei congiunti, l’aumento dei sussidi(144). La direzione generale di Pubblica Sicurezza calcolò che in quattro mesi e mezzo, dal 1° dicembre 1916 al 15 aprile 1917, ebbero luogo circa 500 manifestazioni, alle quali parteciparono decine e decine di migliaia di donne Ma le manifestazioni proseguirono oltre l’aprile, per tutto il corso del 1917. Nella sola Campania, per esempio, dal 1° maggio al 9 novembre si contarono almeno 22 manifestazioni, alle quali parteciparono circa diecimila persone, in grandissima parte donne. Le dimostrazioni assunsero spesso carattere di violenza e ben cinque municipi furono invasi o minacciati di invasione. Il 15 giugno la popolazione di S. Gregorio Magno, in provincia di Caserta , chiese al parroco di organizzare una processione in onore di S. Vito del quale in quel giorno si celebrava il nome. Il parroco si rifiutò, spiegando che le processioni erano state vietate dal decreto deI 23 maggio 1915; ma una folla di circa 2000 persone, in gran parte donne, strapparono al sagrestano le chiavi della chiesa, si impossessarono della statua del santo, e la portarono in processione invocando la pace e gettando pietre contro i carabinieri, due dei quali rimasero feriti(146). Il 23 luglio, a Sora (Caserta), duecento contadine che riscuotevano il sussidio — era un lunedì — reclamarono la pace ed il ritorno dei mariti; invasero la sottoprefettura e colpirono con un sasso il sottoprefetto (147). Il 27 agosto, a Monte S. Biagio, sempre di lunedì e sempre in provincia di Caserta, duecento donne manifestarono contro la guerra e cercarono di invadere il municipio: una giovane di vent’anni fu uccisa dalla forza pubblica(148). Il 23 settembre ad Orsara di Puglia (allora in provincia di Avellino) la popolazione protestò per la mancanza di carbone, occultato, si disse, dai negozianti. Circa mille donne, munite di accette e bastoni, scesero per le vie, interruppero la linea telegrafica, lanciarono sassi contro negozi e case private compresa quella del commissario di Pubblica Sicurezza (149).
L’importanza assunta dai «fatti di Torino» ha fatto credere a molti che il proletariato delle grandi città industriali si trovasse all’avanguardia della protesta contro la guerra, ma la documentazione di cui oggi disponiamo dimostra invece che la protesta nacque e si diffuse soprattutto nei piccoli comuni, nelle campagne, e ad opera principalmente delle donne.
La società contadina era una società composita. Di essa facevano parte coltivatori diretti, fittavoli, mezzadri, coloni e un grandissimo numero di salariati. In totale circa dieci milioni di persone le cui condizioni economiche e il cui stato giuridico erano molto differenti fra loro. I rivolgimenti economici dovuti alla guerra produssero a loro volta effetti differenti secondo le regioni e secondo i ceti. Volendo dare tuttavia un giudizio complessivo, il Serpieri scrisse che la maggior parte dei contadini poté godere durante la guerra «di redditi reali diminuiti in limitata misura o non affatto; spesso poté goderne di maggiori» e che il dislivello economico tra proprietari e contadini si attenuò, perché quasi sempre i redditi dei primi diminuirono mentre quelli dei secondi o restarono fermi o aumentarono. Ciò premesso e ricollegandoci ad altre osservazioni già fatte, riteniamo che le grandi inquietudini dei mondo contadino, durante la guerra, fossero determinate principalmente dalle tre seguenti ragioni:
a) Le classi agricole davano i loro uomini alle fanterie in proporzioni maggiori delle altre classi sociali, e sopportavano pertanto, sotto molti punti di vista, i sacrifici più dolorosi.
b) Le ripercussioni economiche della guerra erano quasi sempre negative nelle famiglie degli uomini chiamati alle armi, poiché, data l’assenza di questi uomini, e data la modestia dei sussidi governativi, le stesse famiglie erano in grado di eguagliare il reddito reale prebellico solo grazie ad un maggior lavoro dei membri rimasti, delle donne - in particolare - e dei ragazzi. In determinate regioni - come ad esempio il Lazio, le Puglie, la Sicilia e la Sardegna-, nelle quali la donna veniva solitamente tenuta lontana dai campi, non era possibile ricreare il reddito prebellico neppure a prezzo di un maggior lavoro.
c) I mutamenti economico-sociali repentinamente intervenuti, sia quelli negativi, sia quelli positivi (e forse ancor più questi di quelli), davano una violenta scossa alla società contadina, mettevano in movimento forze ferme da secoli, creavano un ambiente spirituale nuovo, aspirazioni nuove, che contribuivano ad approfondire il solco tra città e campagna. Lo stesso aumento di potenzialità economica raggiunto da vasti ceti rurali, sospingeva questi ceti verso « maggiori pretese» e «maggiori ardimenti». La formula della «terra ai contadini» dava a questi ultimi — come scrisse il Serpieri —la sensazione della possibilità, prima insospettata, di diventare i «padroni», e induceva a concentrare i sentimenti ostili contro il secolare nemico interno, la borghesia, piuttosto che contro il nemico esterno
(151).
A Firenze erano state le donne del contado a dare il via alle manifestazioni contro la guerra. A Parma, Reggio Emilia e Bologna le agitazioni erano consistite soprattutto in manifestazioni di donne per la insufficienza dei sussidi e il mancato ritorno dei mariti per i lavori agricoli. Anche nel Ferrarese le agitazioni avevano riguardato le campagne(152).
I gravi incidenti avvenuti a Milano, nei primi giorni del maggio 1917, furono anch’essi dovuti alle donne venute dalla campagna. Quelle donne percorsero le vie di circonvallazione,
scagliarono sassi contro gli stabilimenti addetti alle produzioni di guerra, fecero uscire gli operai e continuarono a scorrazzare» per i quartieri industriali di Porta Ticinese e
Porta Magenta reclamando la chiusura di altri stabilimenti. Filippo Turati scrisse ad Anna Kuliscioff che tutto quanto (153) era accaduto aveva avuto sapore di jacquerie con la differenza che questa volta erano scese in piazza solo le donne, le «furie», che chiedevano a gran voce e «subito» la pace e il ritorno dei mariti. Turati forniva alla Kuliscioff altri preziosi elementi per interpretare ciò che era accaduto. La rivolta delle donne era stata una rivolta della campagna contro la città: «Ce l’hanno con Milano, - disse Turati - che volle la guerra e che ora porta via loro tutto, grano, lardo, riso - riso soprattutto, che in campagna non si trova più e costa 1,70 al chilo». Le contadine non avevano fatto alcuna distinzione tra borghesi e socialisti: «Vogliono - disse sempre Turati - far la pelle ai signori, fra i quali - beninteso -siamo anche noi [socialisti], tanto che si sospettava di una dimostrazione rurale contro il Municipio [retto da un’amministrazione socialista]». Né era stato per un sentimento di solidarietà che le manifestanti avevano fatto uscire gli operai dagli stabilimenti addetti alle produzioni di guerra: quelle donne erano « furibonde » contro gli operai che portavano il bracciale tricolore, indicazione dell’esonero dal servizio militare(154)
Le contadine erano state «sobillate» da qualcuno? Non certo dai socialisti, che avevano rischiato di restare travolti dalla protesta popolare. Turati vide dietro alle manifestazioni «lo zampino dei preti», e la stessa opinione fu condivisa dal senatore Albertini e dalle autorità di pubblica sicurezza. Fu compiuto un passo presso il cardinale Ferrari, arcivescovo di Milano, perché dicesse ai suoi subordinati di star tranquilli(155).
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143 Cfr. R. DE FELICE, Ordine pubblico e orientamenti delle masse popolari italiane nella prima metà del 1917, in «Rivista storica del socialismo», settembre-dicembre 1963, pp. 480 e 488. Per il numero 32 della stessa rivista è annunciato uno studio di Natalia De Stefano sull’opinione pubblica e i moti popolari in Emilia, Romagna e Toscana nel 1915-18.
144 Cfr. Inchiesta Caporetto, voI. II, p. 498. Nel maggio, tuttavia, quando i sussidi furono aumentati, molte donne si rifiutarono di riscuoterli, essendosi diffusa la voce che gli aumenti comportassero la continuazione della guerra per altri due anni. Cfr. R. DE FELICE, Ordine pubblico cit., p. 483 e 491 e Inchiesta Caporetto, vo1. II, p. 492.
145 Cfr. R. DE FELICE, Ordine pubblico cit., pp. 488 sgg.
146 Cfr. ACS, Conflagrazione europea, b. 31 A. Le notizie sulle agitazioni in Campania sono state tratte da M. P. CORTI, La grande guerra e l’opinione pubblica in Campania, tesi in storia moderna sostenuta col prof. R. De Felice, Fac. di Lettere, Università di Roma, anno accademico 1966-67.
147 Ibid., b. 17 A.
148 Ibid., b. 17 A.
149 Ibid., b. 73 A.
150 Cfr. A. SERPIERI, La guerra e le classi rurali italiane cit., pp. 94-155 e passim.
151 Cfr. ibid., pp. 40 e 155. Cfr. anche ciò che scrisse Einaudi sulle proroghe dei contratti agrari di colonia parziaria, di salariato fisso e di piccolo affitto le quali diedero ai contadini la sensazione di essere praticamente inamovibili e dunque « compropriesari » dei fondi.
Cfr. L. EINAUDI, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana cit., pp. 198-99.
152 Cfr. R. DE FELICE, Ordine pubblico cit., pp. 483 e 485.
153 Anche Giolitti, nel novembre 1917, dichiarava che, in ogni caso, in Italia non ci sarebbe stata rivoluzione, ma « jacqueries ». Cfr. O.MALAGODI, Conversazioni della guerra cit., p. 201 (conversazione con Giolitti deI 13 novembre 1917). [Jacquerie: nome dato alla rivolta dei contadini dell’Ile-de-France, i cosiddetti jacques scoppiata nel XIV secolo].
154 La lettera di Turati alla Kuliscioff è pubblicata in R. De FELICE, Ordine pubblico cit., p. 472. Notizie sulle manifestazioni di quei giorni a Milano, a Sesto, nel Gallaratese e nel circondario di Monza, anche in L. ALBERTINI, Epistolario cir., vo1. II, pp. 715-17.
155 Cfr. R. DE FELICE, Ordine pubblico cit., pp. 502-04; G. MINOZZI, Ricordi di guerra cit., vo1. I, p. 219 e O. MALAGODI, Conversazioni della guerra cit., pp. 124-25 (conversazione con Corradini e Vigliani del 18 maggio 1917). Sull’attività svolta dai socialisti per dissuadere le donne dal manifestare in favore della pace si vedano le parole dell’on. Dugoni riferite in F. MARTINI, Diario cit., p. 986 (alla data del 18 settembre 1917).

da P.Melograni, Storia politica della grande guerra, ed Universale Laterza, Bari 1977, vol2°