Cristiana
Cirilli
(15-05-2002
19:39) L’unico profitto
che, personalmente (e sono certa che condividete) mi propongo di ottenere
quando insegno Storia è l’apprendimento dei miei alunni, non dico solo
e soltanto quello, ma l’apprendimento tout court.
Ritengo a ciò valido il metodo delle mappe concettuali, in quanto il
sapere inesperto si struttura esattamente come quello esperto, cioè
attraverso la progressiva espansione in profondità della propria mappa
concettuale, è così che avviene il passaggio dal pre – concetto al
concetto e l’abbandono e la correzione del misconcetto. Da questo punto
di vista il metodo delle mappe concettuali risulta efficace nei processi
di apprendimento.
E' perciò che reputo indispensabile, per così dire, prima di passare
alla realizzazione di un ipertesto “allenare” i ragazzi al metodo.
Partendo da questo presupposto, la redazione di un percorso concettuale
esplicitato su un cartellone e frutto di un lavoro cooperativo, dove gli
schemi concettuali sono il risultato della rielaborazione di un lavoro
individuale degli allievi sul testo, e sui documenti tratti da vari testi
(che potremmo considerare dei link cartacei del “net” che è
l’insieme delle conoscenze storiche e storiografiche codificate su
supporto cartaceo relativo ad un certo ambito) o tratte da Internet,
diventa propedeutico ad affrontare la costruzione di un ipermedia.
Ho appurato, realizzando un serio lavoro con le mappe concettuali sulle
Rivoluzioni tra Settecento – Ottocento, che sono i ragazzi stessi ad
evidenziare anche nella logica cartacea i link, i collegamenti e che di
fatto si possono costruire a partire da un nodo concettuale percorsi del
tutto personali nel reticolo concettuale.
Il supporto tradizionale reinventato può diventare esso stesso
“ipertesto” sempre che si chiarisca la natura reticolare del processo
di apprendimento.
Se la natura dell’ipertesto è quella di consentire rapidi collegamenti
in un percorso che scelgo in base a dei nodi concettuali, riuscirò ad
accedere velocemente ad un percorso d’informazioni correlate anche se il
supporto è cartaceo, a patto che i nodi concettuali siano ben chiari ed
individuati.
Vale infatti la pena, poiché la full immersion nel medium oggi non aiuta
neppure noi stessi, professionisti della didattica, ad essere sempre
chiari dal punto di vista terminologico, richiamare alla memoria la
distinzione fra "ipertesto" ed "ipermedia".
L’ipertesto nasce da lontano come “trail blaser”, come indicazione
di percorso, che permette all’utente di muoversi velocemente tra un
insieme di relazioni correlate, e si è poi di fatto identificato con un
insieme di softwares che consentono la strutturazione della scrittura in
un flusso non sequenziale, ma reticolare. L’ipermedia utilizza un
ipertesto per realizzare un reticolo all’interno del quale trovano
collocazione immagini, suoni, brevi testi etc.
Ciò che io ho scelto di fare (e che spero sia metodologicamente
condivisibile da voi), è stato quello di non volermi, arrivata in una
seconda media dove già il lavoro storico era stato altrimenti avviato,
precipitare a puntare al prodotto ipermediale senza aver costruito le
premesse per valorizzare i processi di apprendimento prima che il
prodotto.
Se vogliamo, ho cercato di avviare i miei alunni ad un training
ipertestuale. D’altro canto, su un progetto interdisciplinare ho cercato
di far sì, insieme a miei colleghi, che i ragazzi acquisissero una
discreta competenza informatica realizzando una piccola pubblicazione di
poco più di 50 pagine, corredata di tabelle di dati, foto, slogan di
pubblicità progresso illustrati etc, in cui gli alunni hanno potuto
imparare a raggruppare i concetti in paragrafi da far rientrare in un
certo capitolo, perché attinenti a quel concetto piuttosto che ad un
altro. Lo stesso indice “ri – ragionato” di questo progetto avrebbe
potuto essere il punto di partenza per un ipertesto.
Se ho visto giusto credo che il prossimo anno la costruzione di un
ipermedia storico dovrebbe senz’altro risultare più agevole e
significativa anche all’interno della mia futura classe di III media.
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