Com'era la vita all'interno dell'abitazione

Prima del secondo dopoguerra l'illuminazione della casa era garantita dai lumi ad olio: "mettevano... un po' d'olio dentro, poi mettevano del cotone col filo poi gli davano fuoco e faceva luce" .

I rifornimenti idrici provenivano dai pozzi, come ricorda ancora un'altra informatrice: "in campagna non si trovava mica l'acqua: bisognava andare lontano. 
Mi ricordo che noi andavamo in un pozzo che andavano tutti... la andavamo a prendere magari con una damigiana". L'acqua veniva di volta in volta trasferita in un secchiello di alluminio con il mestolo, la cassa, dal quale tutti i componenti della famiglia bevevano.

Questo secchiello "si teneva in casa sul lavandino, coperto con un telo sopra perché le mosche giravano". Il mestolo per bere era di tipo particolare, diverso da quello usato in cucina per rimestare le vivande: "Il mestolo si chiama il cassù e isa iera la cassa [questa era la cassa], al femminile, la mestola praticamente".

Il riscaldamento era garantito dal camino che, solitamente, "era così grande che ci si poteva stare seduti dentro... Quando il camino era acceso due persone potevano stare dentro". Il camino veniva utilizzato anche per cucinare: si usavano delle "catene che si allungavano e si accorciavano con ganci e si potevano metter più in giù o più in su a seconda di come si voleva". Alle catene del focolare veniva appeso per il manico, fatto ad arco, l'utensile insostituibile della cucina rurale, il paiolo da polenta, il caudren: la forma larga in alto è studiata appositamente per l'uso a cui è destinata, cioè la cottura della polenta, che deve essere mescolata a lungo. Il paiolo serviva anche per cuocere la mostarda, "il condimento da spalmare sulla grossa e larga fetta di pane casalingo... per la merenda dei ragazzi, ma... anche la salsa per gli arrosti, la polenta".

Spesso accanto al camino era posto un fornello a brace che veniva usato quando si cucinava con pentole piccole: "c'era quelle terrine di coccio col manico, o con due manici: si metteva lì e si faceva cuocere: perché non si poteva mettere sul camino, sul camino si faceva la polenta, si faceva la pasta, si faceva bollire... se si aveva bisogno dell'acqua calda".

Ritornando al riscaldamento, è da ricordare che le camere da letto non erano riscaldate, per cui ci si proteggeva dal freddo utilizzando mezzi di riscaldamento portatili: "quando andavano a dormire mettevano il prete d'inverno: era quell'aggeggio di legno, che infilavano nel letto, con uno scaldino". Oppure, sempre tra le lenzuola, si infilava lo scaudorin [scaldaletto piccolo], un recipiente di rame con il coperchio ribaltabile forato nel quale si poneva la brace ardente: era dotato di un lungo manico per facilitare lo scorrimento sotto le coperte. D'inverno l'ambiente più caldo dell'intero edificio era la stalla, luogo di riscaldamento?intrattenimento: alla sera, infatti, era consuetudine che i membri della famiglia vi si radunassero, spesso in compagnia dei vicini di casa. Mentre si chiacchierava e si raccontavano storie, le donne cucivano e gli uomini riparavano gli attrezzi.

La cucina era il locale più importante, e non solo perché attrezzato per la conservazione, la preparazione e la cottura dei cibi: i mobili e gli utensili presenti consentivano di individuare le condizioni economiche della famiglia che la abitava.

L'arredo della cucina era ridotto al minimo indispensabile. Accanto al lavello, dove si appoggiava il recipiente per lavare le stoviglie, si poteva trovare lo scolapiatti, la piattaia e pochi mobili come la madia, il tavolo, le panche, le sedie. Spesso la madia veniva adoperata anche come credenza o come tavolo: "I'erca [la madia]... era il tavolo... da mangiarci sopra e dentro ci facevano il pane' .

La madia serviva per preparare la pasta del pane e la pasta casalinga. Sorretta da quattro piedi, sembrava una grossa cassa con le pareti laterali inclinate; nella parte inferiore c'erano due cassetti e il coperchio, piuttosto pesante, ruotando su se stesso, permetteva di aprire il mobile senza alcun sforzo per riporvi la farina, il pane e il matterello, "la pressia", con cui si tirava la pasta.

Quando si impastava il pane, le donne conservavano un pezzo di pasta lievitata, detto alvà [alzato, lievitato], o biga, per il successivo impasto: la tenevano h. la mettevano in una scodella... finito di fare il pane. Dopo una settimana, quando bagnavano di nuovo la pasta le contadine... prendevano 'sto pezzo di pasta, lo facevano sciogliere nell'acqua con un po' di lievito e il sale e facevano il pane. Finito di fare il pane tenevano 'sto pezzo di pasta per la volta che venivate.

Il pane si impastava in casa e, una volta alla settimana, si andava a cuocere al forno: "si prendeva l'ora per andare al forno, il giorno prima si andava a prendere l'ora e si comprava il lievito, e la sera si preparava, e l'indomani si impastava e si portava giù. Poi il panettiere te lo faceva...".

Vi erano poi alcune famiglie, al tempo della seconda guerra mondiale, che possedevano dei piccoli torchi per fare la pasta in casa: "mi ricordo che ero bambino e si faceva la pasta col torchio... noi ne avevamo uno... uno di quei torchietti... avevano due o tre tipi di buchi per fare i maccheroni o per fare gli spaghetti".

Sulla madia, o sul tavolo se c'era, d'estate si posava la maschera, [moschiera], un oggetto di vetro a tre gambe con un'apertura sul fondo, nel quale si versava una soluzione di acqua e zucchero. Le mosche " sentivano quell'odore, andavano sotto e poi gira, gira, gira e paf! andavano dentro".

(rielaborazione da Bonato Laura, Nella casa più povera: famiglia, donna, lavoro in Vino e pane. Lavoro e vita contadina nel Museo Versano, Provincia di Asti, 1998)

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