Mi ricordo

In cascina arrivammo che era buio. La padrona ci accompagnò nella camera che era al primo piano, accese la candela e ci salutò. Era una camera da letto matrimoniale con un lettino; i mobili erano grandi e massicci come quelli del miei nonni. Al lume di candela mangiammo qualcosa, poi ci coricammo; quella notte dormii un sonno ininterrotto: nessun aereo venne a bombardare. Fu così che nel 1942, quando avevo quattro anni, iniziai il mio breve soggiorno in una cascina del milanese: vi restai con i miei fino all'8 settembre del 1943; quindi tornammo a Milano e lì restammo fino alla fine. La cascina era grandissima, a corte chiusa; su due lati c'erano le abitazioni dei contadini, su un lato lungo c'erano le stalle con sopra il fienile, sull'altro lato c'era un magazzino con un grande portico per i carri e gli aratri. Si entrava nella corte da un grande portone che la sera veniva chiuso; la corte era tutta in terra battuta ed era percorsa da galline e oche; in un angolo c'era la fontanella con l'acqua potabile.

Tutte le abitazioni erano su due piani: al piano terra, dove, lungo tutta la costruzione, correva il portico, c'erano le cucine e dietro, comunicante con queste, una stanza di lavoro; al primo piano c'erano le camere da letto, collegate da un ballatoio, cui si accedeva da un'unica scala comune. Sopra le camere c'erano i solai, parte dei quali erano adibiti a granaio e parte a stanze per i bambini e le ragazze non sposate; queste stanze comunicavano con la camera dei genitori attraverso una botola. Una piccola botola nel pavimento della camera permetteva poi un controllo visivo di quanto avveniva in cucina; un paio di volte con i miei amici guardammo giù e a me piaceva un sacco. La cascina era piena di gente, anche se gli uomini giovani erano pochi, i bambini erano tantissimi e di tutte le età, io divenni amico di molti di loro e potei entrare nelle loro case a tutte le ore e in tutte le occasioni.

Mi piaceva entrare nelle loro cucine la mattina presto perché, certe volte, riuscivo a vedere quando toglievano il grande pane dalla cenere del camino, dove era stato tutta la notte: c'era un buon profumo. Mi piaceva anche bazzicare nella stanza dietro la cucina, quando questa era trasformata per i bachi da seta: in quel periodo la stanza era interamente occupata dal " castello ", dove, su vari piani, avevano costruito i " boschi "., mettendo i rametti di gelso. Anch'io portavo il gelso e poi passavo ore in quelle stanze calde e umide a guardare quei grossi vermi mangiare, questo anche se la cosa mi faceva un po' schifo... Quando i bozzoli dei bachi venivano raccolti, erano poi portati in corte, in un gran mucchio: qui avveniva la cernita per qualità e colore; le donne e i bimbi si sedevano in circolo attorno al mucchio e parlando e ridendo il lavoro veniva fatto. Anch'io partecipai a questa operazione... Mi ricordo che sotto il sole quei bozzoli brillavano come oro e questo faceva allegria. Quella vita in cascina mi piaceva molto e poi, per un cittadino come me, essa aveva il fascino della novità. Invece mia madre era infelice, mio padre era stanco e spesso soffriva par la recente ferita. I miei avevano cambiato i mobili e nella stanza c'era più spazio; avevano portato " dentro " la luce elettrica e questo mi era un poco dispiaciuto perché così era " troppo cittadino ". Purtroppo dovevamo fare pipì e cacca in camera, nel vaso da notte, e questo non piaceva a nessuno dei tre. In cascina non c'erano cessi e tutti, di giorno, andavano nelle stalle; di notte la facevano nel vaso che, il mattino, svuotavano nel letamaio. L'acqua potabile c'era solo alla fontana nel cortile e li bisognava prenderla con i secchi e le bottiglie; andavo anch'io con la bottiglia Ma l'acqua era calda e allora d'estate si andava alla sorgente; lì era fresca ma c'era sempre tanta gente con i secchi e bisognava fare la coda.

Una cosa che mi stupiva era che gli uomini, d'estate, mangiavano da soli sotto il portico, in piedi, con la scodella della minestra in mano, appoggiati al muro. Non osai mai chiedere perché non stavano dentro con i figli e la moglie, né osai mai chiedere perché stavano in silenzio.

Un'occasione di divertimento era invece la trebbiatura, perché tutti erano in corte in una grande confusione. Ma un'occasione di divertimento era anche quando attaccavano il cavallo al carro o all'aratro. Mi piacevano anche i piccoli topi da grano, quando di corsa attraversavano la camera…

(da Boschini Luciano, Casafolk, Rizzoli, 1983)