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La Stampa - 09 - 02 - 2005

EGITTO E GIORDANIA INVIERANNO I LORO AMBASCIATORI A TEL AVIV
Israele e Palestina

TEL AVIV

Dopo quattro anni e mezzo di sangue, il primo ministro israeliano Ariel Sharon e il presidente palestinese Abu Mazen hanno proclamato ieri a Sharm el-Sheikh (Egitto) la fine di ogni atto di violenza reciproca e auspicato «l’inizio di una nuova era». Almeno da un punto di vista simbolico, è la fine dell’intifada. «Nel mio incontro col presidente palestinese - ha detto Sharon - abbiamo stabilito che i palestinesi cesseranno ovunque tutti gli atti di violenza contro gli israeliani. Israele da parte sua cesserà le proprie attività contro i palestinesi». Per Sharon era la prima visita in Egitto in 24 anni, e la prima da quando è premier nel 2001. Il suo invito in un Paese dove è stato a lungo considerato «persona non grata» era ieri un evento in sé, esaltato da una lunga e cordiale conversazione privata con il presidente Hosni Mubarak al termine della quale l’Egitto ha annunciato che un suo ambasciatore tornerà a Tel Aviv. E lo stesso ha annunciato re Abdallah di Giordania. Abu Mazen ha molto insistito sulle necessità che «la lingua del negoziato sostituisca quella dei cannoni». La calma raggiunta nei Territori, il graduale ripristino della legalità nelle zone palestinesi e il ritiro israeliano da Gaza devono fornire da base per la celere ed efficiente realizzazione del Tracciato di pace elaborato dal Quartetto, ha aggiunto il Raiss assicurando che i palestinesi «terranno fede agli impegni». Abu Mazen e Mubarak hanno inoltre detto ai loro partner israeliani che il modo migliore per favorire le trattative israelo-palestinesi è quello di riattivare tutti i «tracciati» di negoziato, associando anche Libano e Siria. In questo modo, hanno sottinteso, dovrebbero diminuire le pressioni di quei Paesi sui gruppi oltranzisti palestinesi che minacciano la prosecuzione della lotta armata. Sharon ha preferito scegliere una impostazione più cauta e circospetta. «Dobbiamo annunciare - ha detto - che la violenza non vincerà, che la violenza non potrà uccidere la speranza, dobbiamo agire assieme, in maniera determinata, smantellare le infrastrutture terroristiche per costruire la pace». Due approcci, dunque, molto diversi in cui sono anticipati i futuri dissensi. Eppure anche gli accordi non sono di poco conto. Israele inizia già nei prossimi giorni la liberazione di 900 detenuti palestinesi e si accinge a consegnare ai servizi di sicurezza palestinesi il controllo di cinque città cisgiordane. Una decisione non facile perché i servizi di sicurezza israeliani avvertono che almeno 50 attentati sono in fase avanzata di realizzazione e adesso per Israele sarà molto più difficile impedirli. Ancora ieri un allarme è giunto da Nablus (Cisgiordania) e l’esercito israeliano è stato costretto a chiudere ermeticamente tutti i posti di blocco della zona. Oltre gli accordi formali (alcuni dei quali riguardano la istituzione di commissioni congiunte) i partecipanti al vertice hanno cercato di creare un’atmosfera distesa. Sharon ha colto l’occasione per invitare a Gerusalemme sia Mubarak (che non si è mai recato in Israele da quando è stato eletto presidente) sia re Abdallah. Con Abu Mazen, Sharon ha dato fondo al proprio charme e dopo aver constatato che avevano «ancora tante cose» da dirsi, lo ha invitato a sorpresa nel proprio Ranch dei Sicomori, nel Neghev settentrionale, a pochi chilometri dalla striscia di Gaza. È una fattoria dove Sharon ama mostrarsi anfitrione e agricoltore: la quiete dei campi e il gregge delle sue pecore creano un’atmosfera bucolica e distesa. Abu Mazen ha accettato e ricambiato l’invito: «E perché non viene lei a trovarmi a Ramallah?» Sharon ha risposto con sorriso. Nella delegazione palestinese qualcuno ha mormorato: «Speriamo che non venga con un carrarmato». Ma era una battuta, e anche da questo si capisce che il ricordo di Yasser Arafat asserragliato nella Muqata, appartiene già a un passato molto remoto. In questa fase sia Abu Mazen sia Sharon devono superare importati resistenze interne. Il primo deve convincere i gruppi armati della intifada a deporre le armi. E nelle elezioni municipali a Gaza, Abu Mazen ha constatato che al-Fatah, il suo movimento, mostra segni di debolezze nei confronti di Hamas. Sharon, da parte sua, sa che la politica di ritiro da Gaza (cosa che include lo sgombero di ottomila coloni) incontra forti resistenze nella destra nazionalista e anche nel suo stesso partito, il Likud. Ancora ieri a Tel Aviv sono apparse scritte minacciose: «Sharon, traditore, farai la fine di Rabin», il premier laburista che dieci anni fa fu assassinato da uno zelota di estrema destra. Al tempo setsso sia Abu Mazen sia Sharon hanno ieri chiarito che l’occasione storica che adesso si presenta è di tale importanza che sarebbe tragico lasciarsela scappare. «Il 2005 sarà un anno decisivo» ha previsto Sharon. «Ai vicini palestinesi voglio dire che abbiamo una intenzione sincera di rispettare il vostro diritto a vivere nella indipendenza e nella dignità», ha detto Sharon. «Noi in Israele abbiamo dovuto dolorosamente risvegliarci dai nostri sogni e siamo adesso decisi a superare gli ostacoli per sfruttare questa nuova opportunita». Adesso anche voi dovete abbandonare i sogni non realistici, e accettare un compromesso». «Agli israeliani - ha proseguito Sharon - dico che dovremo adottare misure difficili e controverse. L’obiettivo è ormai a portata di mano: la sicurezza, la tranquillità, la pace».

Aldo Baquis

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