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ANTOLOGIA

Il boom degli anni '60

  di Grazia Bologna

ANTOLOGIA - fonti letterarie

CESARE PAVESE - TRA DONNE SOLE

(Pag. 56 - 59)

In uno di quei giorni - piovigginava - dovetti tornare prima di sera dalle parti della Consolata. Cercavo un elettricista e mi faceva un certo effetto rivedere le vecchie botteghe, i grandi portoni nelle viuzze, e leggere i nomi - delle Orfane, di Corte d'Appello, Tre Galline - riconoscendo le insegne. Nemmeno i ciottoli delle strade erano cambiati. Non avevo l'ombrello e, sotto le strisce strette di cielo in mezzo ai tetti, ritrovavo l'odore dei muri. " Nessuno lo sa, -mi dicevo, - che sei tu quella Clelia ". Non osavo soffermarmi e mettere il naso nelle vecchie vetrine.
Ma quando fui per ritornare, non mi tenni. Ero in via Santa Chiara e riconobbi l'angolo, le finestre inferriate, il vetro sporco e appannato. Varcai decisa la piccola soglia che scampanellò, come allora, e passandomi la mano sulla pelliccia me la sentii bagnata. Nell'aria chiusa gli scaffaletti con le mostre di bottoni, il piccolo banco, l'odore di biancheria, eran gli stessi.
C'era di nuovo una lampada verde, che illuminava il registratore di cassa. All'ultimo momento sperai che il negozio fosse stato ceduto, ma la donna magra, dalla faccia ossuta e risentita, che si alzò dietro il banco, era proprio Gisella. Credo che cambiai colore e mi augurai di essere anch'io cosí invecchiata. Gisella mi squadrava, sospettosa, con un mezzo sorriso d'invito sulla bocca sottile. Era grigia, ma in ordine.
Allora mi disse, con un tono che un tempo ci avrebbe fatte ridere tutte e due, se volevo comprare. Le risposi strizzandole l'occhio. Non mi capí e ricominciava la stessa frase. lo la interruppi con la mano. -Possibile? - dissi.
Dopo la prima contentezza e la sorpresa, che non bastarono a darle colore (era uscita dal banco, e ci eravamo portate sull'uscio, per meglio vederci), discorremmo cosí, festeggiandoci, e lei mi guardava la pelliccia e le calze con l'occhio intrigato, come fossi sua figlia. Non le dissi tutto quel che avevo fatto e perché ero a Torino; lasciai che pensasse ciò che voleva; accennai vagamente che stavo a Roma e che ,avevo lavoro. Quand'eravamo due bambine, Gisella era tenuta stretta stretta, tanto che con me si lagnava di non poter nemmeno andare al cinema, e io allora le dicevo di venirci lo stesso.
Mi aveva già chiesto se m'ero sposata, e alla mia alzata di spalle impaziente aveva fatto un sospiro, non so se per me o su se stessa. - Sono vedova, - mi disse, - Giulio è morto -. Giulio era il figlio della merciaia, la prozia che aveva allevato nel negozietto Gisella rimasta orfana, e già ai miei tempi si sapeva che voleva farsene una nuora. Giulio era un tisico ragazzo lungo lungo che portava un mantello invece del soprabito o del maglione, e d'inverno andava sempre a sedersi sui gradini del duomo per prendere il sole. Gisella non parlava mai di Giulio: era la sola a non voler credere che la vecchia la teneva in casa per farle sposare quel malato, e diceva che non era malato. Gisella allora era svelta, giudiziosa - in casa sovente ce la portavano a esempio.
E Carlotta? - le dissi. - Che fa? balla sempre?
Ma Gisella parlava ormai del negozio e mi fece la solita lagna - era felice di avermi e potersi sfogare. Mi colpi il tono astioso con cui disse che Carlotta aveva fatto la sua strada - era stata ballerina in Germania durante la guerra, piú nessuno l'aveva vista. Tornò a parlare del negozio, del salasso ch'era stata la morte di Giulio - in sanatorio, sulle spese fino a tre anni fa -, della morte della vecchia e dei tempi cattivi prima ancora della guerra. Le figlie - ne aveva due, Rosa e Lina: una tossiva, era anemica, l'altra no, quindici anni, tutte e due studiavano - erano un grosso guaio, la vita costava, e il negozio non rendeva piú come ai tempi di una volta.
- Ma state bene, avete sempre quell'alloggio...
Miserie, mi disse, piú nessuno pagava l'affitto: lei adesso li aveva sfrattati e affittava a un atelier di ragazze. - Rende di piú, noi ci siamo ristrette, viviamo di sopra -. Alzai la testa, rividi le due stanze in alto, la scaletta, la piccola cucina. Ai tempi della vecchia salire quella scala era un rischio, la vecchia era sempre di mezzo, chiamava lei Gisella, le diceva di non uscire sulla strada. Mi colpí che adesso Gisella si comportava come la vecchia padrona, sospirava, socchiudeva gli occhi; anche il sorriso risentito che gettava alla mia pelliccia e alle calze aveva un'ombra di quell'astio con cui la vecchia giudicava noialtre.
Chiamò le figlie. Avrei voluto andarmene. Quello era tutto il mio passato, insopportabile eppure cosí diverso, cosí morto. M'ero detta tante volte in quegli anni - e poi piú avanti, ripensandoci -, che lo scopo della mia vita era proprio di riuscire, di diventare qualcuna, per tornare un giorno in quelle viuzze dov'ero stata bambina e godermi il calore, lo stupore, l'ammirazione di quei visi familiari, di quella piccola gente. E c'ero riuscita, tornavo; e le facce la piccola gente eran tutti scomparsi. Carlotta era andata, e il Lungo, Giulio, la Pia, le vecchie. Anche Guido era andato. Chi restava, come Gisella, non le importava piú di noi, né di allora. Maurizio dice sempre che le cose si ottengono, ma quando non servono piú.
Rosa non c'era, era andata dai vicini. Ma la Lina, quella sana, corse giú dalla scaletta, saltò nel negozio, si fermò guardinga e contegnosa fuori del cono di luce.
Era vestita di flanella, non male, e ben sviluppata. Gisella parlava di farmi il caffè, di portarmi sopra; io le dissi ch'era meglio se non lasciavamo il negozio. Infatti, il sonaglio squillò, entrò un cliente.
- Eh già, - disse Gisella quando la porta si fu richiusa, - eravamo ragazze che si lavorava, allora... Altri tempi. La zia sapeva comandare...
Guardava Lina, con una smorfia di piacere. Era evidente che s'era scelta la parte della madre che si ammazza di lavoro e non permette alle figlie di sporcarsi
le mani. Nemmeno il caffè lasciò fare alla Lina. Corse lei di sopra e lo mise su. Io scambiai qualche parola con la figlia - mi guardava compiaciuta -, le chiesi della sorella. Entrò una donna scampanellando e da sopra Gisella gridò: - Vengo subito.

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